XI-XX (dal primo al senza numero)
Gian Paolo Guerini
L’operazione titanica della scrittura di Gian Paolo Guerini, ora strutturata e condensata in questa ribollente trilogia dal primo al senza numero – ma con una marginalità di opere ancora inedite, tra cui un volume 100x70x20 cm per circa 60 kg, A Treaty of Philosophy of Evidence, regesto multifocale verboiconico, diario concettuale, wunderkammer segreta delle terre scrittorie emerse dell’autore – può essere posta in analogia con ciò che Demetrio Stratos ha rappresentato nella ricerca sperimentale sulla vocalità. Sì perché come pochi altri suoi contemporanei (d’emblée ricordiamo almeno Augusto Blotto, Lucio Saffaro, Antonio Syxty e Mark Z. Danielewski) Guerini intraprende un percorso prometeico verso un assoluto della scrittura, quello che cerca di accogliere in sé tutte le possibilità date dal possibile, rendendo l’operazione quasi impossibile e sicuramente incredibile, nel senso che la fede nella pagina vacilla per la sua materia iperbolica. Il paragone con Stratos non è peregrino perché proprio di voce è necessario parlare: negli autori citati, compreso il Nostro, estensione, intensità acustica, altezza e timbro vanno a formare una miscela non solo stentorea, per quanto attiene alla riconoscibilità immediata, ma evidentemente non replicabile. Non possono sussistere continuatori o discepoli per queste esperienze di scrittura, se non a rischio di un ridicolo e inutile epigonismo, quello che ammorba correntemente centinaia di scriventi caproniani, sereniani, benedettiani e altri (sia detto con rispetto) -ani. Evviva, ancora oggi esistono opere solitarie e irripetibili, e per questo indispensabili. Sull’assoluto della scrittura, però, è bene precisare che non è da intendersi come dogma di teologia letteraria, piuttosto come tentativo strenuo di spingere sempre oltre il risultato concettuale ed estetico. La continua violazione dei confini tra i codici, le grammatiche, le lingue e le tradizioni, tutto composto e suonato col bordone di solide e articolate geanealogie filosofiche e letterarie, non è dunque delineamento e indicazione di appartenza, ma diaspora continua dei generi, dei modi e dei significati che, attraverso una arborescenza analogica, porta a quella che Umberto Eco, da Peirce, definiva “semiosi illimitata”. Il lettore deve essere disposto alla deriva e mai all’attracco, il rimando è continuo, sia temporale che spaziale, la stratificazione dei significati va oltre il palinsesto e diventa reticolare; è un atteggiamento coraggioso e dispendioso, non è rivolto a tutti, anche perché, credo, questo tipo di opera non si prefissa un lettore tipo, dato che al primo posto rimane la necessità di investigazione.
Nel primo libro ci trovavamo gettati in una struttura a labirinto multicursale, più entrate, più uscite e il centro in nessun luogo, seppure sussistesse una linea di sviluppo, ma in continua rifrangenza verso eco di dispositivi narrativi e poetici in dismissione. L’apparenza (comunque sorda) del romanzo tracimava nell’atto della lettura, col senso immediato di un vagolare nell’orrido del cadavre exquis del letterario.
In questo secondo volume della trilogia, che si sviluppa dall’ordinale 481° al 1038° (v. avvertenza editoriale), si verifica un’ulteriore alterazione topologica. Da una struttura chiusa e per così dire a meccanica autoreferenziale, si passa a una fratturazione sistematica delle delimitazioni, non si danno più un interno e un esterno, come nel labirinto monoviario o nell’Irrweg appena descritto, ma si addiviene a una rete in cui ogni punto può essere connesso con qualsiasi altro punto, e il processo di connessione è anche un processo continuo di correzione delle connessioni, la sua struttura sarebbe sempre diversa da quella che era un istante prima, e ogni volta si potrebbe percorrerlo secondo linee diverse [indebito => Umberto Eco]. Rimane in piedi nella sua materica compostezza il supporto, la pagina che permette l’ostensione dell’opera, pur nella sua evidente impossibilità di contenere l’accumulo disgregante di vettori centrifughi che minano irrimediabilmente il concetto di cornice.
Se dovessimo definire questo capitolo del lavoro di Guerini (per il quale l’autore sta lavorando a uno sconfinato parergon, all’ombra del titolo finale dal limo al seme di tubero) si potrebbe senz’altro inserirlo nella categoria della letteratura ergodica, dove si richiede al lettore uno sforzo non banale, detto extranoematico, per consentire l’attraversamento del testo. Non è più sufficiente l’interpretazione del solo significato espresso verbalmente, ma è necessario prendere in considerazione tutto ciò che procede, per vie imprevedibili, proprio da esso.Gian Paolo Guerini con dal primo al senza numero viene dunque ad incarnare la figura appartata del traditore [indebito => Achille Bonito Oliva], intesa come coscienza della posizione obliqua dell’uomo rispetto alla storia e dell’artista rispetto al linguaggio. Traditore è colui che pensa di tradire, di modificare una realtà inaccettabile, ma vivendo sotto il segno dell’inadempimento, cosciente delle difficoltà che incontra la cultura a trasformare il mondo. Nuovo manierista, senza maniera, Guerini è espressione di un ulteriore esaurimento storico, che decide di affrontare, per necessità, con un’opera dissociata dal mondo, attraverso una rivoluzione silenziosa. Quella che con ironia e gioco manipolatorio-plastico ci conduce verso la coscienza alterata di noi stessi.
[Daniele Poletti]
Gian Paolo Guerini – I-X (dal primo al senza numero)
Formato: 16×23 cm
Pagine: 550
euro 20
a cura di Daniele Poletti
nota: di Franco Gallo
bandella: di Daniele Poletti
[dia•foria, ottobre 2024
collana: floema – esplorazioni della parola
Gian Paolo Guerini nasce in Lombardia, verso la metà degli anni Cinquanta. Scrittore, poeta, pittore, performer, compositore, teorico e artista visivo, ha
vissuto e lavorato a Crema, Brescia, Bergamo,Berlino, Parigi, Livorno, New York, Fort Kochi, Bologna e Bolzano.Dopo gli studi artistici, sviluppa un’avversione profonda nei confronti del dogmatismo e del mondo dell’accademia; avversione che si riflette in ogni attività e progetto successivamente intrapresi. Muove i primi passi negli anni Settanta, dirigendo la rivista poetica «TeatrodelSilenzio» ed entrando in contatto con il movimento Fluxus, l’ambiente della poesia sperimentale e della postavanguardia. Deve all’incontro con John Cage le prime sperimentazioni in ambito musicale e sonoro, orientate sin dagli esordi a un’ascetica sottrazione e ad una ricerca di incontaminata essenzialità. Critico nei confronti della presunta supremazia della cultura occidentale,
sempre diviso tra coesione e dissidenza, ma interessato a stabilire una genuina e autentica relazione con l’altro, in ambito letterario e visivo ha approfondito il tema del linguaggio e la sua capacità di mettere in crisi la linearità tra parola e mondo. L’evidenza dell’ovvio, la ricercatezza dell’incorrotto, la necessità di portare in emersione una verità non metafisicamente stabilita a priori, sono le chiavi di lettura di tutti i suoi lavori.
Tutti i suoi lavori sono presenti sul sito: www.gianpaologuerini.it
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