Augusto Blotto, classe 1933, poeta della dismisura, luogo inesauribile dove la quantità scritturale fa il paio con una qualità fuori dall’ordine comune, i cui giacimenti sono stati a mala pena incignati e hanno spaventato più di un critico, in quanto a non commensurabilità dell’opera, amico per non meno di quindici anni (se la memoria non mi fa difetto), prende commiato, lucidamente, dalla vita il 29 maggio del 2024; prende commiato da quel sistema letterario che, non solo ha lasciato sempre sornionamente a latere, ma che per converso non poteva assorbire una figura tanto problematica.
Decisamente incollocabile, per disappartenenza a qualsivoglia corrente o club statutario, attore di una vera e propria rifondazione della lingua poetica, Augusto Blotto (come altri autori che [dia•foria si pregia di pubblicare) sorta di Sisifo camusiano non è autore da canonizzare. Il canone letterario è un traguardo di domesticazione, che comporta spesso per l’autore in vita vie di compromesso, strategie e presenzialismi, attitudini non condivise chez Blotto. Il canonizzare post mortem puzza poi di naftalina religiosa, di ravvedimento forzato dalla contingenza, stiracchiato per inoculazione del dubbio nelle pieghe di un potere saldo e troppo più grande; Augusto avrebbe probabilmente vibrato un sorriso serrando le labbra luciferine.
Al di là della grandezza dell’opera, rimanere fuori dal canone non è un’onta, ma un’enzima che, attraverso la disindetificazione e grazie a vettori di sperimentazione irriducibili a uno schema consumabile, mantiene la letteratura in buona salute.
Questa posizione politico-filosofica non si scambi per arrendevolezza, bensì per il contrario, come coscienza pugnace che il lavoro da fare, su Augusto Blotto, come su altri autori (vedi solo ad esempio Lucio Saffaro, Gianni Toti, Adriano Spatola, Emilio Villa, Guido Ballo ecc.) da questo momento in poi va fatto ed è ancora molto.
Dal 2009 circa ad oggi l’impegno a far sì che una delle scritture più radicali del novecento diventasse, se non moneta condivisa, almeno valuta riconosciuta presso un numero maggiore di estimatori e di studiosi, è stato profuso in ogni direzione, con tutti i limiti, quanto meno strutturali, che l’humus della eso- e micro- editoria (cui [dia•foria appartiene in modo impenitente) e del contesto non accademico comportano.
Dalla pressoché completa assenza in rete, si sono negli anni moltiplicati gli articoli, le recensioni, i video. Nasce una pagina Wikipedia da noi curata (cui seguirà un sito personale, voluto dallo stesso Blotto per poter “regalare” una messe di scritti che rappresentano solo una piccola parte del tutto o “della totalità”); partendo con la prima timida plaquette del 2011, si arriva all’importante pubblicazione di Ragioni, a piene mani, per l’«enfin!» del 2021 che, attraverso i saggi di Chiara Serani e Giacomo Cerrai, rinnova le prospettive critiche sul Nostro. Il 2025 vedrà poi l’uscita di un cospicuo volume di critica, con due sezioni di testi dell’autore, contenente una rosa di nomi che dimostra come il testimone sia stato passato: accanto a Giovanni Tesio, Marco Conti, Antonio Rossi, Gilberto Isella, più volte protagonisti di interventi su Augusto, vi sono critici che si avvicinano all’arcipelago Blotto per la prima volta o quasi: ancora Chiara Serani, Anna Chiarloni, Lorenzo Mari, Paolo Valesio, Isabella Tomei, Antonio Belfiore. Procederemo poi alla ristampa di Ragioni, a piene mani, e sul finire dell’anno comparirà sulla rivista/libro IPR (Italian Poetry Review), fondata da Paolo Valesio, una antologia di testi con saggio accompagnatorio.
Proprio il giovane studioso Belfiore (che mi racconta — e riporto con gioia — di aver incontrato la scrittura di Augusto grazie a [dia•foria) nel 2022 porta a compimento la sua tesi di laurea Qui, forse, il cielo del rinnovarsi. Ricognizioni sopra la poesia di Augusto Blotto, un’operazione importante che speriamo crei un precedente significativo per l’avvio allo studio sistematico dell’opera.
Su gentile concessione dell’autore mettiamo in condivisione il lavoro che è stato svolto:
In tutti questi anni, mi permetto di dire che non è passata occasione di citare, in contesti pubblici e critici, la scrittura di Blotto come paradigma di un percorso non replicabile, unico e per questo necessario.
Molti altri si sono occupati della scrittura di Augusto, ricordiamo Sergio Solmi, Gualberto Alvino, Enea Roversi, per citarne alcuni, ma non dobbiamo dimenticare che nel 2009 si tenne a Torino una giornata di studi, grazie alla propulsione della moglie Wilma Bosio e alle cure di Mariarosa Masoero e Gabriella Olivero. Con un dispiegamento di forze non comune, parterciparono in veste critica all’evento: Giovanni Tesio, Stefano Agosti, Philippe Di Meo, Marco Conti, Giorgio Barberi Squarotti, Dario Capello, Anna Grazia D’Oria, Emilio Jona, Stefano La Notte, Sandro Montalto, Marica Larocchi, Antonio Rossi, Roberto Rossi Precerutti, Giovanna Ioli.
Sul finire del 2024 esce un libro di saggi postumo di Stefano Agosti, La parola della poesia. Da Leopardi ad Augusto Blotto, che contiene l’importante saggio Augusto Blotto e la scrittura del reale, apparso nel 2014 sulla rivista «Studi Piemontesi» e ripreso poi nel nostro volume Ragioni, a piene mani. (Questo testo insieme a La lingua dell’evento, apparso sul fondamentale volume La vivente uniformità dell’animale del 2003, è un tassello indispensabile per importanza ermeneutica sull’opera).
Senza ombra di dubbio il sottotitolo mi sembra più che rilevante, dal punto di vista prospettico e dimostrativo. Anche perché Agosti aveva pensato inizialmemte di disegnare questa parabola temporale, utilizzando come campione della contemporaneità “sperimentale” Edoardo Sanguineti; ma alla fine carte, appunti e testimonianze confermano che l’ultima decisione del critico — quella di indicare Augusto Blotto come termine di arrivo (e di ripartenza aggiungo io) di un possibile spaccato teoretico sulla poesia italiana — è una testimonianza importante di come, non solo Blotto sia un passaggio ormai imprescindibile per riequilibrare tutta una serie di convinzioni ormai stantie sulla contrapposizone tra tradizione e innovazione in quanto portatore di un vettore divergente, ma anche di come, per uno studioso della statura di Agosti, sia possibile e altresì necessario a un certo punto (e ci auguriamo sempre più spesso) tralignare dalle zone confortevoli del riconoscimento dell’accademia e mettere a repentaglio il dogmatismo religioso di un potere che contraddice il concetto stesso di arte.
Daniele Poletti
Augusto Blotto (Torino, 1933) ha pubblicato negli anni ’50 e
’60 diciotto volumi di poesia presso Rebellato e Schwarz, tra
cui Il 1950, civile, Trepide di prestigio, Svenevole a intelligenza,
Tranquillità e presto atroce, La popolazione.
Tra le pubblicazioni più recenti: La vivente uniformità
dell’animale (Manni, 2003, con un saggio di Stefano Agosti);
a piene mani – 5 poesie inedite (plaquette, [dia•foria, 2011,
presentazione di Stefano La Notte); I mattini partivi. Poesie
per un angolo di pianura 1951-2012 (Nino Aragno, 2014,
postfazione di Giovanni Tesio); Veramente, quando (ADV,
2016, introduzione di Gilberto Isella).
Utile strumento per accostarsi all’opera sterminata di Blotto
è il volume, a cura di Mariarosa Masoero e Gabriella Olivero,
«Il clamoroso non incominciar neppure». Atti della giornata
di studio in onore di Augusto Blotto, Torino, Archivio di Stato,
27 novembre 2009 (Edizioni dell’Orso, 2010, con quattordici
saggi di differenti autori).
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