Il 2014 è stato un anno ricco di ricorrenze letterarie, i 100 anni dei “Canti orfici”, 100 anni dalla nascita di Dylan Thomas e di Marguerite Duras, 90 anni dalla nascita di Gianni Toti, che abbiamo celebrato con un libro (la prima antologia italiana dell’opera di Toti), i 100 anni di Emilio Villa e di William S. Burroughs, etc.
I centenari o le cifre pari, per quanto ci riguarda, non debbono essere scambiati per momenti di fugace attenzione, flash che producono un’istantanea mossa o sbiadita, ma intesi come un’opportunità di ripensare e rivalutare il lavoro di certi autori o artisti e, ove necessario, di attivare un cammino di approfondimento che diffonda la conoscenza di coloro che spesso, per motivi diversi, sono rimasti troppo in ombra o sono stati destinati all’ombra.
Fuor di dubbio che questo tipo di lavoro deve essere svolto assiduamente e regolarmente, senza porsi limiti di date (vedi sulle nostre pagine Augusto Blotto o Lucio Saffaro ad esempio), ma appunto le celebrazioni possono creare un momento di impegno maggiore, che può essere giovevole anche al poeta o all’artista che si va ad analizzare.
Per quanto concerne l’ombra, almeno per l’Italia, il caso di Ghérasim Luca è paradigmatico… riguardo alla ricorrenza, se proprio vogliamo insistere, siamo in ritardo di qualche mese dal ventennale dalla morte.
Ghérasim Luca, nato Salman Locker a Bucarest nel 1913 da famiglia ebrea, entra presto in contatto con parecchie lingue, in particolare il francese, lingua della cultura letteraria, yiddish, rumeno e tedesco. La sua formazione intellettuale è piuttosto articolata e spazia dalla filosofia alla psicanalisi; alla fine degli anni trenta concentra i suoi interessi sulla produzione surrealista parigina (http://www.jose-corti.fr/auteursfrancais/luca.html). Molta parte dell’opera poetica di Luca si inserisce nel solco della ricerca dada-surrealista, proseguendo apparentemente le prime esperienze della poesia sonora (v. Raoul Hausmann e Kurt Schwitters ad esempio), ma in realtà il lavoro fonetico che viene protratto sistematicamente nell’intera messe produttiva dell’autore, si radicalizza per diventare strumento gnoseologico e riflessione sulla possibilità che ha il linguaggio di catturare l’essere. Poesia giocosamente ontologica dunque, quella di Luca diventa esperienza estrema di destrutturazione e manipolazione della parola, come estremo anelito di comunicazione.
Per tutti questi anni (certamente anche per le difficoltà di tradurre un lavoro così intraducibile, come spiega Giacomo Cerrai poco sotto), Ghérasim Luca è stato in Italia un poeta per pochi adepti -che per lo più lo hanno letto in originale-, le pubblicazioni si contano veramente sulle dita e sono ormai fuori catalogo, a parte una.
A nostra conoscenza i primi testi di Luca tradotti in Italia risalgono al 1980, nell’antologia curata da Marco Cugno e Marin Mincu “Poesia romena d’avanguardia” (Ed. Feltrinelli); abbiamo poi “L’inventore dell’amore” pubblicato spillato, senza data e senza copyright da Edizioni Gratis di Firenze e “L’inventore dell’amore” delle Edizioni Barbes, sempre di Firenze, del 2011 a cura di Giovanni Rotiroti. Nel 2012, finalmente, per le Edizioni Joker di Novi Ligure, esce “La fine del mondo” la prima vera antologia poetica di Ghérasim Luca, con note ed apparati, a cura di Alfredo Riponi , traduzioni di Alfredo Riponi, Rita R. Florit e Giacomo Cerrai.
Oggi su f l o e m a – esplorazioni della parola presentiamo un lavoro che vorrebbe essere simile a quello uscito in volume e cioè la prima (breve) antologia poetica luchiana presente in rete. Inoltre inauguriamo con questa uscita una nuova collana digitale dedicata alle traduzioni: TRANS – prove di traduzione.
L’ebook “Pas de pas pas/Nessun padre”, che può può essere consultato e scaricato anche in PDF su Biblioteca di f l o e m a o direttamente qui sotto attraverso la piattaforma ISSUU per la lettura di ebooks e documenti:
comprende 8 poesie inedite più “Hermétiquement ouverte” già tradotta da Alfredo Riponi e 9 poesie visive tratte da “La voici la voie silanxieuse” (Edizioni José Corti). Traduzione e testo introduttivo a cura di Giacomo Cerrai.
Per questo progetto il compositore e cantante Stefano Luigi Mangia ha eseguito una partitura vocale proprio ispirandosi a “Hermétiquement ouverte”. Mangia tributa Luca nel migliore dei modi e cioè attraverso la ricerca vocale più estrema, non ci sono interventi elettronici in questa registrazione (a parte due canali di registrazione montati assieme), sono tutti suoni provenienti dalla voce. Potete ascoltare il pezzo qui sotto:
Appunti per una lettura di Ghérasim Luca
di Giacomo Cerrai
Ghérasim Luca non è solo una sfida traduttiva e interpretativa, da cui non di rado si esce sconfitti o insoddisfatti, ma rappresenta soprattutto una straordinaria esperienza di lettura. Chi vi si accosta deve per prima cosa accantonare l’idea, del tutto presuntuosa, di colmare una distanza con l’autore attraverso la comunicazione. Luca aveva molto da dire, ma sospetto che farsi capire fosse l’ultima delle sue preoccupazioni. Doveva piuttosto agire per scostamenti e condensazioni, il suo scopo era andare a vedere cosa ci fosse dietro la maschera – intesa anche in senso tragico – della lingua, se vi fosse una sorgente non filtrata della realtà. Doveva scoprire (denudare) il corpo della lingua, rappresentarne la materia erotica, restaurarne la sonorità pre-verbale e pre-nominale, doveva quindi (anche) sfuggire a “l’incurabile ritardo delle parole” (C. Pelieu, ma ne aveva già parlato Breton nel Manifeste du
surréalisme del 1924), ovvero superare il gap tra formulazione del pensiero ed espressione. Progetto quanto mai ambizioso, se si pensa che è stato esperito per tutta la vita lavorando su una lingua “altra”, non sua, alloctona, anche se fin da subito padroneggiata proprio nella sua funzione più ardua, quella poetica. Un atto di coraggio, senza dubbio, e una scelta così radicalmente diversa ad esempio da quella dell’altro grande esule, il suo amico Paul Celan, per il quale il francese rimase quasi sempre una lingua d’uso, poichè per lui abbandonare la lingua della madre (e degli aguzzini di lei) avrebbe equivalso, come sappiamo, ad abbandonare di nuovo la madre stessa.
Quella di Luca è una lingua poetica ipertrofica, in cui il suono ha un posto fondamentale, senza tuttavia avere niente a che vedere con qualcosa di semplicemente eufonico, nel senso di questo termine che comunemente si accosta alla poesia. Il suono è spesso, come si diceva, pre-verbale, ancorato a quel punto critico che sta tra emissione di voce e sostanziazione di essa in parola/cosa, parola/oggetto, significato “comune”, una ricerca quindi di una soggettività estrema e profonda, una sostanziale unicità. Non è infantile lallazione, è semmai azione, azione di smontaggio e rimontaggio (anche in senso cinetico e – perchè no – cinematico) della parola, attraverso un meccanismo che è molte volte la cifra di Luca, come nella celeberrima Passionnément (…je t’ai je t’aime je / je je jet je t’ai jetez / je t’aime passionném t’aime / je t’aime je je jeu passion j’aime…). E’ il balbettio, o meglio il tangage, il beccheggio della lingua sull’onda psichica, erotica, emozionale. Cioè, per dirla altrimenti, di valori primari, tellurici, libidici. Un elemento fondante già rilevato da G. Deleuze in “Critica e clinica” (ma v. a questo proposito la nota critica di A. Riponi in calce all’antologia “G. Luca – La fine del mondo”, a cura di A. Riponi, Ed. Joker 2012, nonché le note ai testi della stessa antologia). Il balbettio conduce all’assonanza, ad echi, all’associazione di idee, alla somiglianza tra parole e all’affascinante dubbio (abilmente coltivato) che questa somiglianza nasconda inoltre una sostanza, anche ironica, che le parole stesse tenderebbero a velare, come è stato notato da vari commentatori. Un processo che conduce spesso a una specie di trapasso da una parola all’altra, come una metempsicosi verbale, un destino significante niente affatto casuale. O, se volete, un traffico interverbale che il poeta regola abilmente (e non è un caso che una sezione di “Sept slogans ontophoniques” si intitoli “Semaforismi”). Un esempio? “Accouplé à la peur /comme Dieu à l’odieux // le cou engendre le couteau // et le Coupeur de têtes / suspendu entre la tête et le corps // comme le crime / entre le cri et la rime” (“Accoppiato alla paura / come Dio all’odioso // il collo genera il coltello // e il Tagliatore di teste / sospeso tra la testa e il corpo // come il crimine / tra il grido e il limine”, da A gorge dénouée, trad. A. Riponi e R.R. Florit. op. cit. pag. 43 – Il grassetto è mio). Superfluo dire (e l’esempio non è nemmeno dei più ardui) delle difficoltà che incontra il traduttore, soprattutto in termini di restituzione dei giochi linguistici, dei calembours, delle sonorità significanti di cui si diceva prima. C’è poi, come accenneremo più avanti, un problema ermeneutico, cioè di interpretazione del testo.
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Ghérasim Luca (1913-1994). Gherasim Luca (Salman Locker) nasce a Bucarest nel 1913, da una famiglia ebrea askenazita. Entra presto in contatto con parecchie lingue, in particolare il francese, lingua della cultura letteraria, yiddish, rumeno e tedesco. Il suo interesse per il surrealismo risale alla fine degli anni trenta; entra in corrispondenza con André Breton. Nel breve periodo di libertà prima del comunismo Luca da vita a un gruppo surrealista con alcuni amici. Dispone di una tipografia e di un luogo di esposizione, e adotta la lingua francese nel suo desiderio di rompere con la lingua materna. All’avvento del comunismo, nel 1947, cerca di lasciare la Romania con l’amico Dolfi Trost, ma è catturato alla frontiera. La sola possibilità di lasciare la Romania è un visto per Israele, lo ottiene solo cinque anni dopo. Resta in Israele solo pochi mesi, qui per sfuggire al servizio militare obbligatorio vivrà recluso in una grotta illuminata solo da uno specchio che riflette i raggi del sole. Raggiunge Parigi nel 1952, città che non lascerà più. Qui pubblicherà il suo primo grande libro, Héros-Limite, con la casa editrice Soleil Noir. In Francia vivrà sempre da apolide, e finirà per accettare di essere naturalizzato francese solo a seguito di una procedura di espulsione. Questa prova susciterà in lui la memoria delle vecchie vessazioni, legate a fascismo e comunismo. Il 9 febbraio 1994 a mezzanotte, dopo aver scritto il suo ultimo messaggio, dirà di voler lasciare “questo mondo dove non c’è più posto per i poeti” e si getterà nella Senna. Tra le sue opere : Le Vampire passif, Éditions de l’Oubli, Bucarest 1945; Héros-Limite, Le Soleil Noir, Paris 1953; La Fin du monde, Editions Petitthory, Paris 1969; Le Chant de la carpe, Le Soleil Noir, Paris 1973;Paralipomènes, Le Soleil Noir, Paris 1976.
Giacomo Cerrai è nato a S.Giuliano Terme (Pisa). Ha studiato a Pisa, dove abita e lavora, e dove si è laureato in Letteratura Italiana Moderna e Contemporanea con Silvio Guarnieri, con una tesi sulla rivista letteraria fiorentina “Solaria”. Ha pubblicato una piccola raccolta, “Imperfetta ellisse”, prefazione di Cristiana Vettori, negli “Opuscoli di Primarno” della Accademia Casentinese di Lettere, Arti e Scienze. Ha collaborato con un proprio testo bilingue a “Private” n. 18/2000, rivista di fotografia e scrittura, ed è uno degli autori del volume dedicato a Cesare Pavese “AA.VV. – Cesare perduto nella pioggia” a cura di Massimo Canetta, Di Salvo Editore Napoli. E’ stato redattore, fino alla chiusura avvenuta alla fine del 2002, della sezione Poesia del sito di letteratura “I Fogli nel Cassetto”. Sue poesie sono su Dadamag n.6 (1999), sul blog di Gianfranco Fabbri “La costruzione del verso”, sul n.4 – Gennaio 2007 della rivista “L’Attenzione“, oltre che nella categoria “Homeworks” di questo sito. Altri testi (letti dall’autore) sono presenti su “Oboe sommerso”, il blog di Roberto Ceccarini. Altri ancora sono stati ospitati dal blog collettivo “Via delle Belle Donne”, di Antonella Pizzo e C., compreso l’unico, per ora, esperimento di poesia multimediale intitolato “Flash poem”. E’ ora disponibile su Lulu.com una versione a stampa (scaricabile anche gratuitamente) de “La ragione di un metodo”, silloge di testi risalenti agli anni ’80-’90. Inoltre una silloge di quattordici poesie appartenenti a periodi diversi è stata ospitata dal blog di Francesco Marotta “La dimora del tempo sospeso”. E’ presente nell’antologia “Vicino alle nubi sulla montagna crollata”, a cura di Luca Ariano e Enrico Cerquiglini, Campanotto Editore, con il poemetto “Acqua” e sull’annuario n. 29 di Tellus. Ha pubblicato di recente il poemetto “Sinossi dei licheni”, ebook presso Clepsydra Edition. Un altro poemetto, “Camera di condizionamento operante”, è uscito nel Luglio 2009 presso “L’Arca Felice” di Salerno, nella collana Coincidenze. Entrambi sono scaricabili gratuitamente, anche in formato .epub, da QUI. Su GAMMM un testo sperimentale, “A tribute to John Cage”. E’ co-traduttore dell’antologia “La fine del mondo – Poesie 1942-1991” di Ghérasim Luca, a cura di Alfredo Riponi, Joker Edizioni 2012. Nel gennaio 2013 è uscita, per le edizioni “L’Arcolaio”, la silloge “Diario estivo e altre sequenze”. Alcune sue poesie, tradotte in francese dal poeta Raymond Farina, sono pubblicate sul sito di Nathalie Riera “Les carnets d’Eucharis”, sul n. 58 (autunno – inverno 2012) della rivista di letteratura “Diérèse” e sul n.25 della rivista “A l’index” diretta da Jean-Claude Tardif. La rivista HEBENON Anno XIX Quarta Serie nn. 13-14 / Aprile – Novembre 2014 ha ospitato una nota e sue traduzioni di Pierre-Albert Jourdan.
Stefano Luigi Mangia, cantante/compositore i cui interessi spaziano dal jazz, alla musica contemporanea, alle improvvisazioni radicali, nasce a Galatina (Le) il 17/09/1981. Presso il Conservatorio di Musica ‘NINO ROTA’ di Monopoli nel 2007 consegue un Master di I livello in “Composizione vs. Improvvisazione nei Nuovi Linguaggi”; Nel 2008 consegue Laura di I livello in “Musica Jazz” nel classe del M° Gianni Lenoci; 2011 si diploma in Sassofono e nel 2013 consegue Laurea di II Livello in “Musica Jazz” con lode e menzione speciale.
Mangia ha sviluppando il suo stile personale nel jazz moderno e nella musica improvvisata suonando e cantando con importanti musicisti della scena jazzistica italiana ed internazionale, tra i quali lo stesso Gianni Lenoci, Maurizio Quintavalle, Marcello Magliocchi, Gaetano Partipilo, Karl Berger e Ingrid Sertso, Steve Potts, Markus Stockhausen, Paolo Damiani, Irene Aebi-Lacy, Sabir Mateen.
Nell’ambito degli studi e ricerche, tra tradizione e sperimentazione, Mangia ha approfondito le conoscenze sulla vocalità mongola (canto armonico) con Tran Quang Hai, sulle tecniche di canto della tradizione Pakistano e Nord Indiana, sugli studi inerenti le vocalità extra-europee e le tecniche di vocalità estesa. I suoi lavori discografici sono stati pubblicati dalla londinese Leo Records e da Amirani Records.
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