L’11 dicembre 2013 abbiamo pubblicato su queste pagine un progetto dedicato a Gianni Toti: TOTILOGIA, anticipando e promuovendo l’importante lavoro di digitalizzazione di tutta l’opera dell’autore, a cura della Casa Totiana di Roma.
Pubblichiamo oggi un testo di Carlo Alberto Sitta, che ha conosciuto personalmente Toti e col quale ha più volte collaborato. Sitta non ha avuto la possibilità di spedire il suo scritto entro la scadenza prevista per l’inserimento nell’ebook, ma era suo desiderio ricordare comunque l’amico Gianni.
Proprio in relazione a questa pubblicazione posteriore, approfittiamo per lanciare un nuovo invito a tutti coloro che hanno qualcosa da dire su Gianni Toti, sia a livello creativo che critico, nella prospettiva di pubblicare un nuovo ebook aggiornato e corretto.
Attenderemo i vostri scritti fino alla fine di giugno 2014; potete spedire a info@diaforia.org.
CARLO ALBERTO SITTA
“Carte riScoperte”
(lettera a Gianni Toti)
Era ora, Gianni, che la poetanoica verità venisse fuori, e dentro, senza bussare, e che i nostri scambi di allora trovassero almeno virtu(al)(osa)mente casa. Ti avevo ben scritto che “Falsi Piani” non mi piaceva, anche se tu dicevi buono, efficace, senz’altro poetibile, come tutti gli interventi nostri, almeno fino alla bomba di Piazza Fontana. Tutti più o meno poetanti e maldicenti, dicevi, e va bene così, per il n. 10 di ‘Carte Segrete’ (giugno 1969, p. 199): “l’embolia del colore sintetico, i monti le labbra gli alessandrini accostati nel prisma nel vetro quel giro di orizzonte, il tacco che premo…”.
Caro Gianni, mio buon lettore, il testicolo continua a non piacermi, dico che non era passato né passabile! Come abbiamo parlato in quegli anni, con troppi strumenti, al massimo disiscrittura, ma ci si capiva però. L’altro testicolo, quello che non ti garbava, dopo era tardi per pubblicarlo da qualunque altra parte, dopo la bomba più niente era rimasto intatto, ed è rimasto inedito fino a oggi. Nemmeno Spatola l’ha voluto, nel nuovo clima. Tantomeno al Sindacato Nazionale Scrittori ah! tu da solo contro tutta l’intellighenzia romana, in quel Congresso di Ri-fondazione. Dobbiamo timbrare le schede o i delegati? così dal microfono, mentre la Maria Bellonci votava alzando la manina candido guantata. Due anni dopo, per quel che contano gli anni.
Inedito, e quel ch’è peggio persino elegiaco, queste “Idi dell’anno” è sperimentale, più silenzioso dell’urlo, silenziatori sperimentati tra fiuto e rifiuto della politica. Erano, le Idi, sempre quelle del ‘69, che Emilio Villa aveva postato eroticamente, perché una cifra così particolare cade al massimo ogni secolo. Infatti tutto si capovolse, come successe allora e pochi anni dopo, andando in giro a far Comitati, a spiegare che certe notizie restano notizie, e che il cinema ha ancora storie che restano storie …
Scandire in alessandrini era scandaloso, semanticamente le cose finivano per tornare regolari, un altro dopo e un altro prima. La cifra da decifrare sta nei libri e chi avrà mai la pazienza di smazzare carte di un passato così scomposto? Ma perché se penso a te, senza schermi o nostalgiche posture, mi prende un’allegria incontenibile? Sarà per la faccia di quei delegati scrittori, della buona compagnia che ci stava intorno, al Congresso e fuori. O magari perché la libertà di parola è una pratica che pochi sanno veramente mettere in una pratica.
Allora assenso scritto invio, a mo’ di cincischio gigionesco, ma i ragazzi d’oggi sono bravi, leggono giusto e con l’intonazione dovuta. Peccato non averle messe prima in un Cinegiornale Libero, le Idi, o non averle portate con te in Planetopoli, ma possono andare bene anche ora, perché per certo ti arrivano lì anche dove sei, in qualche nuovo Comitato di tua recente istituzione, dove un utopico input o tag penserà ad additarle l’un l’altro al ludibrio dei blog.
Tanto per diversificare i di-versi, qui cambio stile, lascio il tuo inimitabile e ti trascrivo, calcificando:
LE IDI DELL’ANNO
(1969, inedito)
I
Ora il diaframma rapsodico dirama tremuli cespiti
che si fa ciclo d’eventi e quindi precetto che scotta
che il prisma del gioco più fossile annulla presagi
che dura fuliggine pensaci al ritmo che intanto
il mare che c’era dovunque una massa di terra
le tende che tagli sutura il bivacco dal gelo
finché gli intestini cammina a poco si annoda
i pochi antistanti rimasti sbandati in gennaio
sulla stamani universo a caccia di microsuoni
gridando di sì con le mani una luna che diaccia
II
Libertà che promette a distanza ed altri ricordi
dall’angolo fossile primizia divelta d’aprile
prima che cedri delibano vivide voci sul retro
dietro lo zero che dune davanti stavano pendule
nella quel giorno spogliate era tempo di sabbia
il mare che c’era dovunque una massa di fuoco
un varco talvolta imperfetto anonimo tipo di tono
visto che franano soli fra tanti ad occhi bendati
dal borgo impluvio quartiere entriamo col caldo
dicendo di sì con le mani al tempo che intorno
III
Che tutto a spirale scrivendo affonda nei gorghi
nel mare che c’era dovunque una massa di aria
al largo sostiene lo spreco rifrange pur troppo
il gesto che il vento rovista fra resti di pasti
nel molle alfabeto specchiato dentro il ruscello
nella quel giorno spogliata distesa dell’acqua
che corrisponde a ogni tanto a scrivere inebria
che senza parlare inventa il gramma del grido
fino a tutta la voce bruciata fra i tanti per caso
facendo di sì con le mani ai corpi che in luglio
IV
Che questo il giro di base che reca l’autunno
che fissa in rilievo idioletto in sé inespresso
che tutto in sciopero inerte in onda di trapano
libertà che promette a distanza ed altri percorsi
rabbia che una si accende nel clima che in giallo
misantropica stanza che tratta cadute di foglie
col mare che c’era dovunque una massa di acqua
elemento che quarto s’estende sul globo inesteso
volendo di sì con le mani alitandovi sopra
che dire più chiaro a chi mi stupore mi ferma
Carlo Alberto Sitta, nato a Modena nel 1940, poeta, autore di teatro, regista e interprete. Ha pubblicato In/finito, Magnetodrome,Animazione, Sesta terra, Il principe errante, L’anima virtuale e Museo degli astri. Ha collaborato, fra le altre, alle riviste “Il Verri”, “Nuova corrente”, “Il Caffè”, “Carte segrete”, “Uomini e idee”, “Change”, “Tam tam”, “L’Humidité”, “Invisibile City”. Ha tradotto dal francese opere di Pierre Albert-Birot, Jean Tardieu, Jacques Henric, Patrick Boumard, Sylvain Auroux. Ha fondato nel 1979 il Laboratorio di poesia di Modena e nel 1981 la rivista di poesia “Steve”, che tuttora dirige.
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