Bologna Violenta – solip(sisma) in musica

a cura di Walt G. Catalano e Daniele Poletti

 

Siamo entrati in contatto quasi per caso con Nicola Manzan aka Bologna Violenta, la sua musica ha magneticamente attratto le nostre attenzioni troppo spesso distratte da infinite tenzoni fluidomassive di suoni ed immagini; la sua persona poi è stata il catalizzatore che ha permesso un dialogo piacevole e una grande disponibilità.

Nicola Manzan in concerto

L’impatto sonoro di Bologna Violenta è senza compromessi e sulla scena italiana esistono pochi altri esempi di contaminazione estrema tra strumenti classici come chitarra e violino con power electronics dalle ritmiche serratissime, e la miscelazione con trattamenti di segnale e voce: tutto in un’unica persona, Nicola Manzan che, per associazione libera, potrebbe essere definito il rullo compressore e il violino.

Sono passati ormai più di vent’anni dal prepotente avvento dei Naked City sulla scena mondiale, tuttavia alcuni filoni musicali estremi vengono ancora considerati come “non per tutti”: se si eccettua l’uso di frammenti per gingle televisi o per alcune soundtrack. Come per l’arte contemporanea o la letteratura le espressioni di ricerca più radicali vengono digerite molto lentamente dal sistema sociale e comunicativo e comunque il risultato finale è sempre un filtraggio derivativo, privo di coscienza storica ed estetica.

La musica di Nicola Manzan va ad inserirsi in questo substrato sonico pro-sismico che trae origine direttamente dai germogli dei primi anni ’90, in cui la deflagrazione di fantasia e la violenza di Naked City, appunto, o dei Pain Killer (per rimanere nell’universo John Zorn), coincidevano con la crescita del noise made in japan e la decadenza dell’industrial inglese.
In Bologna Violenta c’è inoltre l’ossessione -tutta nostrana- per il cinema di genere che va dai poliziotteschi ai mondo movies, un’indelebile impronta che segna il ritmo e rende l’ascolto degli album patologicamente surreale: un film in stop motion dagli sfalzati bioritmi.

Presentiamo di seguito un’intervista rilasciataci da Nicola a metà maggio, che permette di capire il musicista e la persona. Buona lettura e buon ascolto.

1)  Ciao Nicola, raccontaci della nascita di B.V.

– La nascita di BV è coincisa con un momento di grandi cambiamenti nella mia vita. Da anni pensavo di fare un disco di musica estrema, ma non avevo mai avuto il tempo ed il coraggio di intraprendere un lavoro di questo tipo, soprattutto in solitaria. I vari eventi della vita mi hanno portato ad avere molto tempo a disposizione e molte frustrazioni da sfogare, quindi quasi per caso mi sono trovato a lavorare a questo progetto che non aveva assolutamente l’ambizione di diventare il fulcro della mia vita, ma che col tempo lo è diventato.

 2) Hai una formazione musicale classica, ma il suono di B.V. spazia dal grind-core, all’industrial passando per la classica: qual è stato l’impulso primario che ti ha spinto a muoverti in uno spettro sonoro così eterogeneo e multiforme?

– Inizialmente i pezzi di BV erano molto più “puri” di ora. Solo drum-machine, chitarra e qualche synth. Mi ero imposto molti limiti quando ho cominciato a registrare il primo album, volevo che il suono ed i pezzi fossero lontani da quanto avevo fatto fino ad allora. Con l’andare del tempo ho preso consapevolezza del fatto che questo progetto poteva essere un po’ la somma di tutto ciò che facevo ed ho fatto fino ad oggi. Tutto sommato devo dire che ciò che ciò che esce ora come BV è la somma di tutto ciò che ho ascoltato, suonato e studiato negli anni, dalla classica al grindcore, appunto.

3) I primi due album sono stati ideati come concept? All’interno del primo album “Bologna Violenta” le improvvise deflagrazioni ritmiche sembrano scorrere in parallelo con il tessuto diegetico dei film polizieschi, attraverso il montaggio serrato tipico del filone. Parlaci della tua passione per il cinema di genere e del processo creativo dei tuoi lavori, con particolare riferimento ai mondo movies di Jacopetti nei quali si avverte il bisogno ossessivo di filmare l’inenarrabile.

– Devo ammettere che nonostante io non sia un grande amante dei concept album, quando registro i miei dischi non posso fare a meno di avere un concept che mi guidi e che mi sia di forte ispirazione.
Il primo album non è nato come concept, ma durante le registrazioni (e soprattutto dopo aver pensato che il disco si sarebbe dovuto intitolare “Bologna Violenta”) ho pensato di fare un parallelo coi film poliziotteschi, anzi di ispirarmi ai loro titoli per creare dei pezzi ex novo. Mi ero fatto una lunga lista di titoli da cui attingere per avere ogni giorno un’idea diversa da sviluppare. Il concetto di base era di fare musica violenta e veloce, ma senza entrare nello specifico dei vari film a cui mi sono ispirato.
Il Nuovissimo Mondo, il mio secondo album, è invece strutturato per essere un mondo movie in musica, quindi sono stato molto attento alla struttura sia dei singoli pezzi che alla loro funzione all’interno dell’album e anche il linguaggio usato è preso in prestito dai documentari di quell’epoca.
La prima volta che vidi in tv Mondo Cane ho subito pensato che avrei dovuto fare un disco ispirato a quel film e a tutto il genere che ne è nato (i cosiddetti shockumentary o mockumentary). Sono rimasto sconvolto dall’efficacia narrativa di quel film, in cui momenti di bellezza e serenità sono messi in contrasto con scene di una violenza inaudita. Ho subito pensato a quanto potesse aver influenzato non solo il cinema, ma anche il modo di fare la televisione e sentivo il desiderio di omaggiarlo in qualche modo, perché noi siamo cresciuti con la violenza che entrava nelle case attraverso un tubo catodico (cosa che succede anche oggi, forse in maniera anche più forte di prima e non solo attraverso la tv). L’inenarrabile e il fascino della morte sono tabù che incuriosiscono l’essere umano da sempre ed ho cercato di fare un disco che esaltasse questi sentimenti così oscuri e che tanti di noi non vogliono riconoscere in se stessi.
Non so perché mi piacciono i film di genere, forse perché li sento vicini a quanto faccio io, ovvero cose per pochi, con poche risorse economiche, ma tante idee. La mia ovviamente è una visione molto romantica del tutto, perché all’epoca di soldi ce n’erano molti più di oggi. Mi piacciono tendenzialmente gli argomenti oscuri, ma se sono trattati con una certa leggerezza, altrimenti diventa tutto fine a se stesso; una certa dose di ironia (o autoironia) spesso sono un buon veicolo per far circolare le proprie idee.

4) La scelta di rendere tutta la tua produzione o quasi fruibile in rete, come si sposa con i contratti discografici che hai finora ottenuto?

– Al momento non ho firmato alcun contratto discografico per fare uscire i miei dischi, quindi sono proprietario dei master e l’ultima decisione spetta sempre a me. C’è da dire che in un momento di crisi come questo però voglio anche stare attento a non penalizzare chi mi aiuta a realizzare i dischi e a diffonderli in maniera legale in internet. Non ho ancora messo in free download il mio ultimo album perché  non voglio “mettere in croce” il distributore digitale, con cui però sembra che troverò un accordo quanto prima. La gente ormai è abituata a comprare i dischi dopo averli ascoltati (e mi sembra pure giusto, tutto sommato), quindi tanto vale mettere tutto scaricabile gratuitamente e concentrarsi nello stampare meno copie ma più curate, siano esse vinili, cd o cassette.

5) Hai lavorato con diversi artisti italiani, anche in questo caso spaziando dal noise al pop, fra i tanti, Offlaga Disco Pax, Teatro degli orrori, Zen Circus e 4fioriperzoe, qual è l’esperienza che ti ha arricchito di più? E gli esperimenti sonori con Karim Qqru?

– Difficile dire quale mi abbia arricchito di più. Ogni volta che lavoro per qualcun altro cerco di far sì che sia un’esperienza positiva a prescindere. Mi piace imparare, anche e soprattutto dalle esperienze negative. Di sicuro stare in tour con band che fino al giorno prima conoscevo poco, trovarmi di fronte a migliaia di persone a suonare canzoni non mie e che probabilmente di lì a poco non avrei suonato mai più, mi ha fatto crescere la consapevolezza di ciò che sono io e di cosa ricerco nella musica, al di là del semplice compenso economico. Ciò che ho imparato è che la musica viene prima di qualsiasi altra cosa, quindi non è importante se un’ora prima hai litigato pesantemente col cantante di turno (che quindi spesso è il tuo datore di lavoro), la cosa fondamentale è che ogni nota che suonerai sul palco sia vissuta fino in fondo, sempre al 100%, perché la musica è un’arte e in quanto tale va rispettata. Se suono male chi ci rimette è solo lei, quindi di conseguenza anche chi è lì per sentirla.
Gli esperimenti con Karim… beh, mi ha mandato un pezzo molto strano e oscuro e mi ha dato carta bianca. Ci conosciamo da anni, anche se non così bene, e ci ritroviamo molto per quel che riguarda attitudine e gusti musicali, quindi non mi sono fatto molti problemi a mandargli dei violini parecchio fuori dai miei standard abituali. Sono molto felice di essere nel suo disco, credo che sia davvero uno dei migliori usciti negli ultimi tempi.

6) I Baustelle sono forse la band più lontana dalle sonorità che ami, quali erano le affinità e quali sono state le cause di separazione?

– Di affinità ce n’erano molte, a partire dall’amore per i film di genere di Bianconi. Non credo loro siano molto lontani da ciò che ascolto, alla fine non ho dei gusti musicali ben precisi. Anzi, devo dire che trovo La Malavita e Amen due dischi molto vicini alla mia concezione di “pop” e tutt’ora mi capita di riascoltarli con piacere. Non ci sono delle precise cause di separazione. Avevo il mio disco in uscita e Il Teatro Degli Orrori mi ha chiesto di andare in tour con loro, quindi potevo sfruttare al meglio la situazione sia per BV che per me (tipo: avere un lavoro più o meno fisso per un anno). Devo dire che la cosa che mi è meno piaciuta dell’esperienza coi Baustelle è stato il rapporto che si era instaurato tra loro ed il management che li seguiva, senza tener conto che loro fanno uscire i dischi per una major, quindi spesso anche le apparizioni pubbliche erano dei marchettoni giganti che a me non piacevano per niente (spesso fortunatamente ero esentato da tutto ciò). Non mi sono mai piaciuti i grossi manager delle band, che invece di lavorare per rendere il gruppo sempre più grande mantenendolo credibile e puro, non fanno altro che gonfiare l’ego delle varie rockstar, creando spesso dei palloni gonfiati che prima o poi esplodono lasciando solo un ricordo grottesco di quanto è stato.

7) Il logo di Bologna Violenta è molto incisivo: limitrofo alla patologia e allo stesso tempo infantile, con due croci rovesciate a corredo. Vuoi esprimere un’idea anti cristiana, una critica oppure è uno sberleffo alla scena Black?

– Un po’ tutte e tre. Di base sono contro la religione, qualunque essa sia, perché offusca le menti e fa sì che le persone in difficoltà invece di risolvere in prima persona i problemi che la vita ci “regala”, si mettano nelle mani di un dio inventato da qualche nostro antenato e si affidino semplicemente alla preghiera e alla speranza, facendo sì che nulla cambi, ma togliendosi di dosso la responsabilità di quanto accade o non accade. Qui in Italia la Chiesa fa più danni che altro, ci potrebbe aiutare a risollevare le sorti economiche del paese pagando le tasse come tutti, ma non lo fa (questo è il primo esempio di ciò che non mi piace della Chiesa di Roma, ma potrei ovviamente farne molti altri). Quindi le mie croci rovesciate sono un simbolo del mio disappunto nei confronti di questa istituzione che in mille modi sento essere contro di me e contro tutti noi, nonostante l’apparenza. Le croci rovesciate a me fanno anche molto ridere, un po’ perché appunto rimandano alla scena black metal (che si prende un po’ troppo sul serio a mio avviso), ma anche perché vengono ritenute offensive dai cattolici integralisti. Trovo che il crocefisso sia una delle rappresentazioni più gore che possiamo immaginare, ma noi ci siamo abituati, visto che in tutte le case c’è un uomo appeso ad una croce…

8) Di frequente nei tuoi pezzi il suono del violino deve “armonizzarsi” con parti noise e potenti riff, creando una complessità timbrica notevole; il tutto è assemblato in modo clinico: il montaggio sembra imperare.  Come lavori in fase di composizione?

– Non ho un metodo specifico, in genere parto dalle batterie e poi vedo cosa mi va di aggiungerci sopra. Di solito gli archi sono l’ultima cosa che ci metto, mi servono per dare più colore al suono e per accentuare il lato “emozionale” della cosa. In fase di arrangiamento cerco di avere lo stesso approccio che avrei se stessi scrivendo per una vera orchestra d’archi, quindi cercando di rispettare le regole base dell’armonia classica. Diciamo che il tutto tende a diventare abbastanza maniacale, ma cerco di tenere comunque “i piedi per terra”, quindi di non perdermi troppo in seghe mentali che alla fine non portano a niente di buono.

9) La realtà musicale estrema italiana è sempre stata molto seguita anche all’estero, basti pensare alla collaborazione di Attila Chsiar con Aborym, Naihmass Nemtheanga con Void of Silence e le varie incursioni di Patton. Com’è nata la tua collaborazione con Jay Randall degli Agoraphobic Noosbleed?

– Jay ha una web label che si chiama Grindcore Karaoke e che è diventata molto importante nella scena musicale mondiale nonostante sia attiva da poco più di due anni. La caratteristica principale è il fatto che mette tutti i dischi in free download, gran parte è musica estrema, tra il grind e l’harsh noise, ma ci sono anche vari gruppi più rock, dj, insomma, chiunque faccia della musica che secondo lui vale. Un paio d’anni fa mi ha contattato per chiedermi se poteva avere i miei primi due album nel suo catalogo, che gli piaceva molto il mio progetto e che avrebbe voluto esserci nel disco che stavo preparando (Utopie e piccole soddisfazioni). Ovviamente ne sono stato onorato, gli ho mandato un pezzo, mi ha mandato dei campioni di voci devastate e le ho ricomposte per creare una specie di testo.

10) Per quanto riguarda invece l’esperimento “The sound of” hai sovrapposto intere discografie di gruppi rock e metal con risultati di simultaneismo e cacofonia a tratti veramente sorprendenti. E’ una sorta di tributo a band che ami o ti sei ispirato al lavoro che John Cage realizzò con Europera sovrapponendo diverse opere liriche?

– Non conosco molto bene John Cage e non conoscevo questa sua Europera. Di base l’idea mi è venuta pensando alla fruizione della musica ai giorni nostri, in cui in pochi minuti scarichi un’intera discografia per poi magari non avere neanche la voglia ed il tempo di ascoltarla. Quindi: quale metodo migliore per poter assaporare l’intera discografia di una band, se non sovrapponendo tutti i pezzi, risparmiando così un sacco di tempo? Poi mi piace l’idea del “suono” di ciascuna band, perché nonostante tutto anche nel marasma di tutte le tracce che vanno contemporaneamente, si può riconoscere il “timbro” generale dei vari gruppi.
Per alcune band è stato un vero e proprio tributo da parte mia (penso a Bathory, Carcass, Negazione), per altri la scelta è stata fatta in base al loro non  attività o alla loro morte (ad esempio, il volume 9 è dedicato alle “dead black voices” e contiene le discografie di Barry White, Donna Summer, Michael Jackson e Whitney Houston).
Ricollegandomi alla precedente domanda, ci tengo a dire che Jay Randall ha fatto da poco uscire l’intera collezione su Grindcore Karaoke, mentre a breve faremo anche una edizione speciale deluxe in cassetta.

11) Il suono di B.V. sembra essere contaminato anche da una passione per la cultura Giapponese e per gruppi come Anatarash, Boredoms, Merzbow, Gerogergegege, Discordance Axis, puoi confermare questa impressione?

– Sinceramente? No… Mi piacciono moltissimo i Melt Banana, anche Merzbow mi piace, ma non lo posso elencare tra le influenze del mio suono. Mi trovi molto impreparato su questo argomento…

12) Associazioni libere:

John Zorn: sax

Kamasutra: dipinti indiani

Cuore: infarto

Serpente: una statua della Madonna

Inseguimento: Maurizio Merli

Ragno: Jeff Hanneman

Religione: merda

Distorsione: Metal Zone (il pedalino della Boss)

Borghesia: SUV

13) Progetti futuri?

– Penso di iniziare a registrare il nuovo disco a breve, prima però devo finire un po’ di altre collaborazioni e cose che ho in ballo e che sto chiudendo. Devo capire ancora di preciso cosa succederà nei prossimi mesi, ma sono ansioso di mettermi a comporre e registrare pezzi nuovi.

Bervismo per più!

 

Nicola Manzan

BOLOGNA VIOLENTA è la one-man-band dietro cui si cela Nicola Manzan, trevigiano classe 1976,  diplomato in violino e    polistrumentista che negli ultimi anni ha lavorato in studio e dal vivo con molte band del panorama musicale italiano. Il progetto nasce nel 2005, anno dell’esordio omonimo ispirato ai poliziotteschi degli anni Settanta, ed è fin da subito votato alla violenza sonora ed al nichilismo musicale: una sorta di cyber-grind dove la melodia è quasi assente, mentre sono le ritmiche serrate, i riff punk-hardcore ed i sintetizzatori a farla da padrone. Il secondo album, intitolato “Il Nuovissimo Mondo”, esce nel 2010 per Bar La Muerte e segna una prima svolta nello stile del progetto. Ispirato dai cosiddetti “mondo-movie”, il disco è carico di citazioni (con tanto di finti dialoghi che riportano alle atmosfere ciniche e spietate tipiche di quei film) e non mancano delle parti, seppur brevi, in cui fa capolino qualche accenno melodico. Dopo un tour durato due anni per un totale di centotrenta date in Italia e all’estero, Nicola si è chiuso nel suo studio per realizzare il terzo album intitolato “Utopie e piccole soddisfazioni”, in uscita il 27 gennaio 2012 per Wallace Records / Dischi Bervisti e distribuito da Audioglobe. I ventuno pezzi che compongono il lavoro sono l’espressione più eclatante del background musicale di Nicola, che va dalla musica classica al rumore puro. Nessuna citazione da film in questo nuovo album, dove è la musica a farla da padrone, e solo poche parole a sottolineare che dietro alle grandi utopie che muovono il mondo, sono le piccole soddisfazioni a rendere migliore la nostra vita.


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