Antonio Agostini, compositore – intervista e musica

 

Prima pagina della partitura

 

Dedichiamo questo articolo al compositore Antonio Agostini, artista molto vicino a [dia•foria: oltre ad apprezzare il suo lavoro, siamo legati da una pluriennale amicizia e da una recente, bella collaborazione.

Il centenario di John Cage, appena trascorso, ha visto [dia•foria impegnata per l’intero 2012, con la pubblicazione del numero speciale “1000 e una nota per John Cage” e con l’organizzazione dell’evento UnCage IT; poi una breve, ma interessante parentesi al Pisa Book Festival.

La giornata UnCage IT si è tenuta a Lucca il 19 ottobre e il lavoro di Antonio Agostini ha rappresentato uno dei momenti più alti e rappresentativi del programma. Il pezzo “Grains and Variations (for John Cage)”, è stato composto appositamente (su nostra commissione) per l’evento ed eseguito in prima assoluta dal Quintetto Cage Ensemble.

Qui sotto potete ascoltare un estratto:

[audio:https://www.diaforia.org/diaforiablog/files/2013/01/Grains-and-Variations-for-John-Cage-A.-Agostini.mp3]

Il compositore Antonio Agostini

 

1) “Grains and variations” è una composizione originale dedicata a John Cage e scritta appositamente per il centenario; perché un pezzo per John Cage e che parte ha avuto il compositore americano sulla tua formazione e sulla tua musica?

Iniziai ad ascoltare John Cage per caso, perché (venendo io da una formazione tipicamente da chitarrista “rock” e da autodidatta totale, parlo dei primi anni ‘80) ne lessi un’intervista su una rivista della fine dei ‘70 (non ricordo il nome, forse “Fare Musica”…) a proposito di un happening romano. Mi incuriosì il personaggio e cominciai a cercare registrazioni sue e di tutta la cosiddetta scuola americana. Nei primi anni di conservatorio mi avvicinai all’esperienza cageana della scrittura casuale e all’uso dell’alea. Fu in realtà un’esperienza giovanile e tale rimase, non ho più riutilizzato questi processi nella strategia compositiva. L’occasione di scrivere un lavoro dedicato a John Cage mi è stata data nell’anniversario dello scorso anno per un’esecuzione del concerto a lui dedicato, svoltosi a Lucca ed è stata una esperienza interessantissima, anche per riaprire vari “cassetti” chiusi in epoca giovanile, a proposito di Cage.

2) Secondo te ha senso omaggiare Cage scrivendo un brano a lui dedicato? Ha senso scrivere un brano per lui, se verrà poi eseguito secondo le modalità che Cage stesso ha cercato di cambiare con il suo lavoro: la sala da concerto, il pubblico, gli applausi?

Per quello che mi riguarda il particolare del senso di un omaggio a Cage è al suo pensiero, e al ruolo che ha avuto dagli anni ‘50 sulla musica colta e non solo. Continuo a pensarla come Xenakis, rimarrà sempre più l’idea-pensiero di Cage, l’importanza della sua figura e della sua personalità’, la sua decisa frattura, più che certa sua musica.

3) Qualche dettaglio tecnico sulla scrittura del pezzo. Si tratta di un quintetto piuttosto atipico (pianoforte, tromba, flauto traverso, marimba e varie percussioni, sassofono) e di una partitura piuttosto complicata. Perché un ensemble di questo tipo e quali dinamiche compositive hai adottato, anche in considerazione del fatto che si tratta di un tributo a Cage?

L’organico in realtà è proprio quello originale del Cage Ensemble (Roberto Baccelli-pianoforte, Lucia Barsotti -flauto traverso, Riccardo Puccetti-percussioni, Giuseppe Angeli-tromba, Michael Bastianelli-sassofono. N.d.r. ), quindi era una formazione “data”, timbricamente molto stimolante, a mio avviso. Tutto il lavoro è basato su un gruppo di grani, sei frammenti dalla IX sonata di John Cage dalle “Sonates and Interludes” per pianoforte preparato, e su variazioni dei suddetti elementi cageani; solo l’elemento conclusivo (il sesto grano) risulta vagamente riconoscibile, nel tentativo di “riemergere” da un magma sonoro di distorsione continua dei frammenti originali. Il pianoforte preparato ha funzione concertante.
4) Ti faccio una domanda preliminare per introdurre una successiva sui “massimi sistemi”. Prendendo come paradigma il pezzo “Grains and variations”, cosa dovrebbe evocare nello spettatore? Quali suggestioni emotive e/o intellettuali deve produrre?

È complesso risponderti, non so cosa dovrebbe evocare in realtà, compreso un brano come questo che nasce come un omaggio dichiarato; questo vale per tutta la composizione, per quello che mi riguarda. Credo sarebbe importante la possibilità di avere attenzione, concentrazione, vivendo l’esperienza dell’ascolto come atto di indagine, di curiosità e di “piacere puro”. Conosco parecchi giovani appassionati (persone che vengono dal rock, dal jazz e a volte anche dall’heavy metal o dal punk) che proprio grazie ad un po’ di voglia di ricerca e di curiosità si sono avvicinati alla musica colta del secondo ‘900 e poi alla musica d’oggi e ne godono ampiamente pur non conoscendo la prassi compositiva o l’analisi formale della musica. Alla mia domanda del cosa susciti in diversi ascoltatori la risposta è sempre la stessa, « un grande piacere », e si va da esperienze più “accessibili” come le musiche minimaliste americane, agli ascolti decisamente più impegnativi come quelli della “nuova complessità”, solo per citare due campi.

5) Cos’è oggi la musica contemporanea? Quali linee e quali sviluppi rappresentano meglio ciò che può essere considerato “ricerca” e “modernità”? Ma soprattutto a chi si rivolge la musica contemporanea; quale la sua istanza sociale e politica, in considerazione del linguaggio che usa, spesso ostico per la maggior parte delle persone?

Cos’è la musica contemporanea. Come si fa a rispondere… migliaia di compositori, spesso (soprattutto vari giovani) decisamente interessanti e ognuno di loro con una ricchezza sonora e d’idea fantastiche, di lavoro in lavoro. È difficile, oggi, con la velocità e la possibilità di incastri di suggestioni, di compenetrazioni culturali profonde (penso all’uso di strumenti extraeuropei e alla possibilità di inserirli in un linguaggio musicale colto occidentale, o all’interazione tra strumento/ensemble/orchestra e live electronics, ad esempio) tracciare una linea di demarcazione netta su cosa sia la musica contemporanea. Questo tipo di mare di suono si rivolge a chi ha orecchie e passione, un pubblico spesso molto più giovane di quello che si crede e che grazie ad Internet spesso arriva alla promozione “dal basso” di concerti ed avvenimenti/incontri, basti pensare alle possibilità che canali come YouTube danno per la fruizione di concerti interi od estratti in discreta risoluzione audio/video di interessanti -e spesso sconosciuti altrimenti- solisti, ensemble e quindi compositori; gli ascoltatori ed appassionati crescono sempre più, rompendo il dogma di avere pubblici formati solo da altri musicisti, compositori, artisti e addentellati. A mio parere, si deve comunque prendere atto dell’urgenza (ancor di più degli esperimenti di Luigi Nono negli anni ’60 e Giacomo Manzoni, Pestalozza ecc., quindi l’esperienza fondamentale di “Musica Realtà” anche nei ’70) di portare la musica fuori delle sale da concerto, ripeto oggi più che mai, cercando di “strappare” (ed inventare!) nuovi luoghi di ascolto, e di conseguenza nuove possibilità d’incontro con chi non è abituato all’esperienza del concerto di musica contemporanea.

6) Qui entrano in gioco altri due aspetti, che possono forse completare il ragionamento sul fruitore/spettatore di musica colta: la coerenza e la responsabilità (quest’ultima sia del compositore che dello spettatore). In più è da tener presente che forse qualcosa è cambiato tra lo spettatore di 100 anni fa e quello odierno: l’evoluzione sociale probabilmente non è andata di pari passo con quella della musica (colta). Che ne pensi?

Beh, decisamente, fosse solo per la riproduzione meccanica dell’opera musicale prima e per la possibilità di accesso, con un tasto del computer ed un po’ di pazienza, ad un quantitativo infinito di musiche di qualunque provenienza, genere, epoca poi, si impone per forza la presa d’atto della differenza e del diverso rapporto della fruizione che si ha nel campionario di tipologie di ascoltatore rispetto a quello di appena venti anni fa. La questione rimane sempre la stessa, a mia avviso, nel bilanciamento tra attenzione ed “investimento” del proprio tempo a disposizione nella ricerca, nello studio e poi nell’atto dell’ascolto di una detta musica. Orientarsi in oceani di musica affidandosi solo alla casuale possibilità di incontrarne di buona credo sia atto utopico, occorre informarsi, studiare, cercare, per poi concentrarsi, fosse solo per goderne il doppio, dell’ascolto scelto! Chi non ha interesse e voglia di provare a rapportarsi con l’investimento del proprio tempo, si accomodi pure.

7) Spesso, in certo sentire comune, si pensa che la musica contemporanea sia sinonimo di musica d’avanguardia; ha ancora senso oggi parlare d’avanguardia musicale?

Oggi non userei più questo termine, lo trovo legato ad un’altra epoca. Come e dove si può identificare oggi la musica d’avanguardia? Le opere di un giovane compositore armeno o rumeno o newyorkese possono essere d’avanguardia allo stesso modo pur venendo ognuno di essi da percorsi musicali e usando elementi compositivi e strutturali completamente diversi.

8) Si può affermare che la musica contemporanea abbia ormai un codice -seppure più complesso della musica tradizionale- riconoscibile?

Ci sono musiche contemporanee che hanno codici (per usare un tuo termine) più riconducibili a brutte musiche del XIX° secolo, altre che ti potrebbero far venire in mente musica assolutamente improvvisata, altre che ti trascinano immediatamente (seppur suonata da strumenti tradizionali) nella suggestione della musica elettronica ecc. L’esperienza di un compositore è spesso complessa per la stratificazione continua del lavoro, dell’analisi, della necessità della propria ricerca, della voglia di esplorare alimentando i propri stimoli e le proprie urgenze attraverso nuove forme strutturali, nuovi approdi, quindi è spesso già complesso “codificare” un compositore tra un pezzo ed un altro dello stesso autore (spesso in una necessità fin troppo sbrigativa di classificazione in una determinata scuola compositiva…),figuriamoci nel concetto di “genere” riconducibile al cliché della dissonanza.
9) La più grande frattura col passato passa per Schönberg con dodecafonia e atonalità. E’ pensabile un ritorno alla tonalità?

Onestamente, fin dai primi periodi di conservatorio, non ho mai potuto concepire la dodecafonia come una frattura, ma come una conseguenza del percorso di Arnold Schönberg, dei suoi famosi allievi (nelle conosciute diversità di utilizzo…) e non solo. Allo stesso modo la prassi dell’armonia di una detta epoca ha sempre avuto la necessità di aprirsi, di evolversi, includendo sempre più nuove eccezioni che diventavano poi accademia e così via. Detto questo, se intendi un ritorno ad idee compositive costruite su forme diciamo canoniche di ri-scrittura del passato (e in questo personalmente ci inserisco ovviamente anche la dodecafonia e il serialismo integrale) ci sono eccome, ma onestamente non mi interessano.
10) Puoi indicare qualche compositore che opera oggi, di particolare interesse per lo sviluppo della “contemporanea”?

In realtà ci sono tanti compositori (tanti sono italiani…) che apprezzo, ed è bellissimo avere la possibilità di vivere un momento di grande ricchezza di differenze e cammini. Tra gli italiani (ma solo per citarne alcuni, ed ovviamente evitando di ricordare i compositori già iper-affermati in Italia e non) Marco Marinoni, Maura Capuzzo, Andrea Nicoli, Marco Alunno e soprattutto quello che è stato per me il primo grande riferimento come insegnante e mente brillantissima, il compositore genovese Riccardo Dapelo. Ripeto, il panorama (anche in un momento apparentemente di crisi e stagnazione…) è veramente vasto e molto vario, è difficile circoscrivere a pochi nomi.

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Breve incompleta nota biografica

Antonio Agostini nasce a Viareggio nel 1969. Chitarrista, inizia gli studi musicali con Lilia Bemi a Viareggio; studia composizione presso il conservatorio statale “G.Puccini” di La Spezia e privatamente con Riccardo Dapelo. Si perfeziona (1996-2002) in composizione con Giacomo Manzoni, alla Scuola di musica di Fiesole, dove ottiene la borsa di studio del corso per l’anno 2001/2002.
Nel 1999 vince il “Premio Veretti”. Nel 2001 viene selezionato dal M° Mario Ancillotti e dal M° Enzo Porta, con l’Ensemble Kontra-Punkte, per la “Festa della Musica 2001” alla Scuola di musica di Fiesole. Nel 2003 tiene due seminari di analisi e composizione a Praga e a Budapest. Nel 2005 vince il primo premio del concorso internazionale di composizione “Chant du Monde – Dimitri Shostakovich” di Mosca. Nel 2008 vince il primo premio del concorso internazionale di composizione “Musici Mojanesi”. Nel 2010 e’ stato invitato a tenere un corso di composizione, con due concerti di sue musiche dal dipartimento di musica dell’università di Medellin (Colombia). Nel 2012 riceve una commissione dalla violista Cornelia Petroiu e dal sassofonista e compositore Daniel Kientzy per un lavoro per viola sola e trio(che verrà pubblicato su disco nel 2013) ed è compositore ospite a Parigi presso gli studi di Nova Musica. Dal 1992 al 2002 segue corsi, seminari ed incontri con Karlheinz Stockhausen, Luciano Berio, Pierre Boulez, Salvatore Sciarrino, Adriano Guarnieri, Helmut Lachenmann, Luca Francesconi, Sylvano Bussotti e Nicola Sani. Sue composizioni, per vari organici strumentali e vocali, sono state eseguite in Italia, Repubblica Ceca, Ungheria, Francia, Giappone, Svizzera e Germania. A capo di vari ensembles di musica improvvisata, partecipa, come chitarrista, a numerosi concerti in Svezia, Norvegia, Danimarca e Svizzera. Dal 1999 e’ membro dell’ensemble “Le Onde Martenot”, con il quale vince nel 2001 il “Premio Piero Ciampi” per la migliore esecuzione, e nel 2002 il secondo premio della prima edizione del “Premio Fabrizio De André ” di Desio. Nel 2007 è in finale al “Festival Teatro-Canzone Giorgio Gaber” accompagnando Luca Checchi.

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