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EMILIO VILLA
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(1914-2014)
Prendiamo l’occasione del centenario per riportare l’attenzione su una delle figure capitali della cultura italiana: Emilio Villa. Prima di noi, nella seconda metà del 2013, il progetto ideato e curato da Enzo Campi, che si è concretizzato nel libro “AA.VV. PARABOL(ICH)E DELL’ULTIMO GIORNO. PER EMILIO VILLA”. Ci auguriamo che queste iniziative possano dare lo slancio per operazioni editoriali sistematiche, mirate sia a rendere disponibili i testi villiani (l’ultima antologia “Zodiaco” risale già a 14 anni fa) -per far sì che anche i più giovani entrino in contatto con l’altra faccia dell’”avanguardia”-, sia a stimolare nuovi interventi critici e interpretativi dell’opera poetica.
"[...]la retta non esiste, le parallele si scontrano. [...]l’universa trasformazione non conosce spigoli, né funzioni, né serie” (Emilio Villa)
Di fronte a quella porzione (cospicua) della produzione villiana non in italiano, si può facilmente cadere in una sensazione di sconforto misto ad ossequiosa distanza. In effetti parlando di Villa non si può fare a meno di far riferimento ai suoi esperimenti mistilingue, che poco o niente hanno a che fare con il modulo postmoderno, perché non si tratta di prelievi e commistioni da e con lingue diverse: piuttosto di una scrittura protratta per interi componimenti in latino, greco antico, dialetto, francese, inglese ed altre lingue arcaiche. Perciò è comprensibile che coloro che non dispongono dei mezzi per decodificare tali testi, rimarranno quasi sicuramente sulla soglia. Ciò anche in considerazione del fatto che Villa non solo rivivificava “lingue morte” semplicemente attraverso l’uso quotidiano che ne faceva -evolvendo e sviluppando le forme ormai cristallizzate della grammatica e della sintassi-, ma in più i testi sono spesso dei piccoli trattati di etimologia comparata. Tuttavia di queste scritture che appaiono, ancor prima che sibilline, enigmatiche, è possibile apprezzarne lo statuto progettuale. L’intento prometeico di Emilio Villa è conoscitivo, ma nella sua forma più estrema: si punta dritto all’origine. Per fare questo Villa adotta lo strumento della poesia, ma sottotraccia ci sono motivazioni di ordine filosofico, antropologico e teologico. La ricerca spasmodica (punteggiata anche da “registri bassi”, provocazioni, corruzioni) di una lingua originaria, “edenica”, dove siano consustanziali res e logos, porta il poeta a un vero e proprio sparagmòs, un dilaniamento babelico delle possibilità della parola, del corpo del significato nella disseminazione dei significanti, secondo le modalità suggestive della scrittura misterica. Tale dionisismo scritturale Villa lo attua sistematicamente non solo nella sostanza dei testi, ma anche nella metatestualità che l’autore stesso rappresenta, in che modo? Facendo sparagmòs di se stesso: Villa fa perdere le proprie tracce, attua per la sua opera una strategia a-topica, disperde i suoi testi non solo nel flusso di codici vari, ma fisicamente li rende irreperibili, non fruibili, attraverso una miriade di piccole tirature, di invii privati mirati, etc. Villa getta nel Tevere le sue parole scritte su delle pietre: il silenzio (come spiega bene Enzo Campi nel saggio “Chaos: Pesare-Pensare“). Relativizzando al massimo la scrittura, ponendosi, non al di sopra, ma al di là delle convezioni anche più sperimentali della letteratura a lui coeva, con l’utilizzo di una lingua ai più irraggiungibile e dissipando il frutto della sua utopia come sopra accennato, Emilio Villa forse ci suggerisce veramente il silenzio come unica possibilità conoscitiva, sottointendendo il primato del visivo e dell’auditivo come ponti diretti con il pensiero. (Daniele Poletti)
Siamo lieti di presentare uno dei progetti più importanti di f l o e m a nel 2014. L’ebook che pubblichiamo è la prima antologia poetica e critica organica presente in rete e abbiamo l’onore di ospitare testi di Carlo Alberto Sitta, Aldo Tagliaferri, Ugo Fracassa, Cecilia Bello Minciacchi, Enzo Campi e Giorgio Barbaglia. Tra le poesie di Villa compaiono 4 inediti di cui due autografi. È doveroso ringraziare Francesco e Stefania Villa per aver concesso la riproduzione dei testi del padre e il Prof. Aldo Tagliaferri per aver sostenuto attivamente il progetto.
L’ebook “La scrittura della Sibilla” di Emilio Villa può essere consultato e scaricato anche in PDF su Biblioteca di f l o e m a o direttamente qui sotto attraverso la piattaforma ISSUU per la lettura di ebooks e documenti:
Contenuti sfigurati (a proposito di Emilio Villa)
di Carlo Alberto Sitta
Prendete l’origine della Partecipanza a Casumaro. Matilde viaggia da giorni, incinta, per la strada che da Canossa porta a Ferrara, e la scorta non possiede rimedi per evitare un aborto spontaneo. La perdita di un figlio, anche nel medioevo, è un Caso Amaro. Alla Signora viene in aiuto la benevolenza spontanea del popolo, un omaggio ai sassi di Toth presentato da mani color della gleba. A voi che mi avete dato un rustico appoggio io dono la terra, col suo odore di forra, in legato perpetuo. A te, Signora, in restituzione, il racconto che esce dal contado, catapecchie sparse e loquaci, di sera, al termine delle fatiche, voci che dicono e maledicono il bene e il male di Dona Mitilda. Questo è l’epos mitico e fragrante della Partecipanza, l’eredità del viaggio che vive nel risarcimento del ricordo. Dove passa una linea desertica di case abbandonate si carica di vene varicose, tra siepi di vespe, con quel profumo. […]
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Prolegomeni villiani
di Aldo Tagliaferri
Essere giusti con Emilio Villa non è facile neppure per chi sia animato da buone intenzioni nei suoi riguardi. La constatazione che nelle antologie della poesia italiana lo si sia potuto tranquillamente escludere, o ridurre a un ruolo marginale, risale, come è stato notato, alla tradizionale tendenza a sottovalutare o cancellare chi sia privo di rapporti con un mondo accademico spesso asfittico e devitalizzato, o addirittura si affermi in manifesta polemica con esso. Quando in alcune storie o antologie della poesia italiana alla cancellazione si è sostituita una annessione frettolosa , la pezza è risultata spesso più molesta del vuoto cui si intendeva rimediare perché faceva risaltare la natura piattamente storicistica e acritica di prontuari i cui curatori, ritardatari cronici, desiderano soprattutto mostrarsi à la page. L’obiettiva difficoltà con la quale deve fare i conti un lettore alle prese con un opus disperso in tante pubblicazioni apparse in tiratura limitata, e per lo più alla macchia, è stata aggirata nel modo più efficace e convincente dai poeti che, nonostante l’alto tasso di conflittualità riscontrabile tra di loro, nei testi a loro disposizione hanno trovato pane per i loro denti. […]
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Luogo, senso e/o impulso nell’opera di Emilio Villa. Una lettura inedita.
di Ugo Fracassa
Qualcosa di simile a un manifesto, nei toni perentori (ma spicciativi e tutto sommato revocabili) di un dettato interamente gestito alla prima persona plurale (“siamo noi”), è contenuto nel fascicolo inventariato col numero 20 e custodito nell’ “Archivio Emilio Villa” della Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia. All’altezza del 1954 – datazione presunta del documento – da poco rientrato dal Brasile dove, nel giro di un paio d’anni, aveva fatto in tempo ad entrare nell’orbita del gruppo paulista di poesia concreta Noigandres e a varare il primo ed unico quaderno di O Nivel – Emilio Villa non si perita di evocare, anche sul patrio suolo ed ancora in ambito strettamente letterario, un’imminente stagione di sperimentazione condivisa. Al netto della maestà di un noi che, trattandosi di Villa, è sempre in agguato, il poeta e “critico” d’arte, in uno snodo cruciale del suo percorso intellettuale ed artistico, parte lancia in resta contro gli –ismi residuali della poetiche contemporanee (“libertà dalle poetiche : basta con surrealismo, futurismo […]”), a pochi anni dal coming out neoavanguardistico e pochissimi dal manifestarsi dei suoi prodromi nel “sommesso attimo e baleno / dei Novissimi”. […]
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«Tota loquenda»: per due Sibyllae inedite di Emilio Villa
di Cecilia Bello Minciacchi
Dell’ampia produzione sibyllina di Emilio Villa, che mescola o alterna latino, italiano, francese e greco, Sibylla (monosyllabica mona) e Sibylla (sabina) [purum audivi]1, sono entrambe integralmente in latino. La prima, d’apparenza metalinguistica o metapoetica, è giocata su una monadicità sillabica non priva di scatto provocatorio e dissacrante: mona allude senz’altro al monosillabo e alla monade, ma con ogni probabilità vale anche in tutti i suoi sensi dialettali e volgari. La seconda ha carattere narrativo e descrittivo, e incipit addirittura evocativo – «purum audivi proloquium de coelo» –, al quale fa seguito una situazione campestre, a non dire bucolica –«quercus nana», «grylli inter foliamen» –, che non manca tuttavia della presenza di un animale tradizionalmente sinistro, infido e nemico: «et viperae celatae ramis haerebant». […]
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Chaos: Pesare-Pensare
di Enzo Campi
Quando Ovidio scrisse: «I versi del grande Lucrezio sono destinati a morire solo quando tutta la terra sarà distrutta», non poteva certo immaginare che a distanza di secoli una compagnia teatrale performativa e di ricerca (Lenz Rifrazioni)2 potesse mettere in scena o, se preferite, levare dalla scena una tra(n)sposizione del suo chaos metamorfico; e che un qualsiasi praticante della letteratura potesse far coincidere sullo stesso asse quel primo chaos al chaos babelico di un certo Emilio Villa, autore che, come fa giustamente notare Aldo Tagliaferri, ha subito l’influenza elettiva di Lucrezio, e non solo quella espressamente palesata nel Niger Mundus. Del resto basta rileggere il testo citato per comprendere come gli intenti dell’intera produzione villiana si facciano specchio fedele dei versi di Lucrezio: le parole nuove, la povertà della lingua madre, la chiara luce e le cose nascoste. Potrebbe sembrare un’operazione anomala o una forzatura, ma se Lucrezio scrive: “libero si ravviva il soffio del fecondo zefiro”, se Villa afferma: “seme era il vento”3, non sembrerà azzardato inserire tra i due la leggerezza e l’arealità dei corpi che (dis)animano il Chaos di Lenz Rifrazioni che, beninteso, si costituisce proprio a partire dalle metamorfosi ovidiane. […]
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Il ritorno labirintico
di Giorgio Barbaglia
Le implicazioni dell’immagine labirintica sono varie, come lo sono i suoi aspetti e i possibili approcci ad essa. Ma, di questi ultimi, il più inadeguato e ingannevole è quello di attenersi all’idea di un luogo determinato con il quale ci si confronti in un facoltativo gioco enigmistico. Purtroppo tale concezione riduttiva e fuorviante fornisce il pretesto anche oggi a alcuni artisti per produrre opere che semplicemente invocano invano dal titolo di labirinto un titolo di enigmaticità del tutto indebito.
Già l’enigma mitico stesso, in origine e nella sua generalità, mette in gioco, in quanto tale, la vita di chi è costretto ad affrontarlo. Ma, per quanto riguarda quello labirintico in particolare, l’esistenza umana vi è addirittura costitutivamente coinvolta fin dal suo inizio. Infatti appare ormai evidente che il labirinto rappresenta l’aspetto catturante di quel linguaggio simbolico che costituisce la nostra irreversibile condizione di esseri parlanti. Per il labirinto non c’è altro inizio che quello della nascita umana, che fatalmente avviene nel linguaggio: ineluttabilità che risulta a propria volta rappresentata in molti miti della Caduta e della Perdita. […]
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Cosa c’è di nuovo (1944)
da “Oramai”
Di nuovo c’è che hai giovanotti ramazzati via
non si può tenere spalancate più le palpebre
con gli stecchini a punta, vita non ce n’hanno più:
di nuovo c’è gli occhi bianchicci dei maschi
milanesi sui fili del filobus, dei tram, sui pali;
mica sarà triste seguitare a mirarsi negli occhi tristemente!
di nuovo c’è che tra la polpa e l’osso c’è che fa caldo
e che fa freddo a una ragazza che possiede gli occhi
come una campagna arata dalla guerra, fuoriporta;
di nuovo c’è che poche piante vanno avanti a venir su;
e mani conciate di ragani e di caligine
accendono le stufe di ghisa, non c’è gas;
c’è che trema la sostanza universale, e il nostro cuore
non per vanto né per forza, ma mi sembra buono e trema
un rumore di vie d’acqua, vie d’acqua e ferrovie:
il vento ha lasciato solchi di pioggia e macchie d’unto
sull’intonaco delle facciate larghe quindici metri,
e solchi, cioè rughe, nella piazza lustra degli anziani;
le finestre sono una semenza tra i finali: e io
che semino fiato e gran buontempo, e tu
che in su e in giù passeggi per le arterie del centro;
e io che faccio stracci paragoni, e tu che porti
la bellezza malinconica e avara dentro l’ombra rossa
d’essere ancora bella, ragazza come una campagna;
e io che so fare complimenti dimenticati, e tu passare;
e tu che pensi che bisogna guardare quello che bisogna,
e io che penso egli animali barbelanti che torneranno
ancora come una volta a pisciare visino all’aria; e tu
fammi una lista musicali di panni da asciugare
all’aria generosa e sventurata della nostra camporella.
Emilio Villa nasce il 21 settembre 1914 ad Affori (Milano).Inizia gli studi al seminario di San Pietro Martire, presso Seveso (tra i compagni c’è anche Giancarlo Vigorelli). Dall’ebraico il suo interesse gradualmente si estende all’intero orizzonte delle culture semitiche antiche. Tra il 1933 e il 1936 – nel frattempo a 21 anni si è sposato – può frequentare da laico l’Istituto Biblico di Roma e dedicarsi allo studio del sumero e alla filologia semitica antica, studi che lo porteranno in seguito ad intraprendere una nuova traduzione della Bibbia; impresa, rimasta incompiuta, alla quale si dedicherà durante il corso di tutta la sua vita.Nel 1937-38 vive a Firenze, dove conosce Mario Luzi e Oreste Macrì, collabora a “Frontespizio” e frequenta Palazzeschi. Nel 1938 vive a Roma e inizia un periodo di vivace attività pubblicistica.Richiamato alle armi dalla Repubblica di Salò, fugge e si nasconde in Toscana ospite di Bino Sanminiatelli. Verso la fine del 1943 ritorna a Milano, dove vive in clandestinità, prendendo parte alla Resistenza con un gruppo comprendente il critico d’arte Mario De Micheli.Nel 1947 esce l’introvabile sua raccolta di poesie Oramai (Istituto Grafico Tiberino).Tra il 1951 e il ’52 vive in Brasile collaborando con Pier Maria Bardi, il fondatore del Museo di arte moderna di San Paolo, ed entrando in contatto con gli ambienti dell’emergente concretismo brasiliano. Rientrato a Roma e fino alla pubblicazione del primo (e unico) volume di Attributi dell’arte odierna (Feltrinelli, 1970) l’ambito dei suoi interventi si configura vastissimo e si articola secondo tre linee di sviluppo che scorrono parallele e investono rispettivamente la critica d’arte, la poesia e le traduzioni, in particolare dei testi biblici rivisitati in una prospettiva laica.L’attività del critico militante è più nota e più seguita delle altre. Emilio Villa assume il ruolo di mentore e presentatore riconosciuto degli artisti più innovatori del suo tempo: Perilli, Dorazio, Turcato, Cagli, Capogrossi, Colla, Nuvolo, Afro, Mirko, Novelli, Rotella, Schifano, Lo Savio, Manzoni, Bonalumi, ma sopra tutti Alberto Burri fin dal lontano 1951. Intensi anche i rapporti con il mondo dell’arte internazionale: Matta, l’action painting, Rothko, Moore, Breton (che lo riceve a Parigi nel 1963), Duchamp (incontrato a Roma nel 1963 e che lo gratifica del termine “Villadrome”, “Villa sempre in corsa”). Collabora a numerose riviste (tra le altre, “Civiltà delle macchine”), ne fonda una all’avanguardia, “Ex” (di cui usciranno cinque numeri dal 1961 al 1968) e scrive nuove poesie pubblicate in edizioni a tiratura limitata al di fuori del circuito editoriale tradizionale. Esce per Guanda nel 1964 la sua traduzione dell’Odissea e partecipa come “consulente storico” alla realizzazione del film La Bibbia (1966), diretto da John Houston, visitando l’Egitto e il Medio Oriente. Sul piano personale conduce una vita brada e zingaresca senza negarsi i piaceri della vita, alloggiando in luoghi precari (studi di artisti, case di amici, anche dormendo sotto i ponti), svendendo le opere d’arte ricevute all’insegna del totale disprezzo per il mercato, le cose e il loro possesso, ma intransigente nell’indagare e praticare senza contropartite i confini estremi dell’arte e della parola. Agli inizi degli anni Settanta affida a un magazzino un baule colmo di libri e manoscritti che va perduto perché non è in grado di pagare l’affitto del deposito.
Dagli anni Settanta in poi assistiamo ad un progressivo e sostanziale isolamento di Villa dal mondo letterario e artistico, nonostante la posizione attribuitagli di maestro del variegato universo della poesia visiva e la circolazione occasionale nel mercato di suoi “oggetti di poesia”, a cui corrisponde un’intensa e febbrile attività plurilinguista (italiano, latino, greco, portoghese, provenzale e in particolare francese) fino all’ictus del 1986, che gli impedisce di parlare e scrivere. È amorevolmente assistito dalla pittrice Nelda Minucci, la compagna degli ultimi anni, e gode presto dei benefici della “pensione Bacchelli”. Nel 2002 muore Nelda, il 14 gennaio 2003 in solitudine la segue Emilio Villa, sepolto a Sant’Angelo in Colle presso Montalcino.
L’opera poetica di Villa è immensa, in parte inedita e in parte smarrita, o dispersa in edizioni private e riviste poco note; e altrettanto cospicuo e disperso è il suo lavoro intorno alle arti visive, e quello di traduttore. In libreria sono giunte pochissime opere, tra le quali ricordiamo la versione dell’Odissea e la raccolta di scritti sull’arte, quest’ultima per la tenacia di Aldo Tagliaferri allora responsabile letterario della Feltrinelli. Il primo (e unico) volume delle sue Opere poetiche, edito da Coliseum nel 1989 a cura di Aldo Tagliaferri, ha segnato – all’età di 75 anni – il suo esordio poetico ufficiale. Nel 2004 l’amico e studioso decennale Aldo Tagliaferri pubblica per DeriveApprodi Il clandestino. Vita e opere di Emilio Villa.
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