Ormai un anno fa, sulle pagine di f l o e m a, presentammo un’intervista video a Biagio Cepollaro (Colloquiale n°2) su scrittura di ricerca e sperimentazione, annunciando un’antologia dell’opera completa dell’autore. Pubblichiamo solo oggi “Nel corpo della scrittura; poesie 1984-2013” -per le molte cose che si sono accavallate e intensificate-, ma con il piacevole pensiero di mettere a disposizione la prima antologia completa dell’autore. Il lavoro poetico di Cepollaro è presentato dal poeta e critico letterario Davide Castiglione, mentre le opere grafiche a corredo sia dell’articolo che dell’ebook sono dello stesso Cepollaro.
(da “Le parole di Eliodora” – Forum/Quinta Generazione, 1984)
Le vie del torace
3.
meccanismo inceppato (non solo del senso
ma dei corpi premendo sul petto perdere così
memoria
sfigurato ogni disegno ad essere non può sostare
altrove ma giacca camicia ai piedi del letto
sono
feticcio e specchio faccio parte del sonno
sognando centro di strada perso intorno guardando
scrittura
inceppata groviglio intestinale occlusione del senso
pensato ma morta sul selciato la coda ebbe nuova
nascita
Biagio Cepollaro rientra nel macroinsieme di quei poeti che possono essere definiti della “corporeità”, nello specifico alla voce corpo-segno-senso. Vale a dire, il corpo quasi sempre pressante nelle poesie di Cepollaro (in alcune raccolte come “Scribeide” o “Luna Persciente” spostato analogicamente su livelli fonetici squillanti e materici; o in “Fabrica” e “Versi nuovi” magari più suggerito o adombrato), non è un corpo di superficie, una testimonianza meramente fattuale dell’esperienza, ma piuttosto uno strumento di dolente captazione che tende a spostare la riflessione sul segno rappresentato dal corpo stesso e sul senso che ne deriva.
Da lì il passo è breve per arrivare al topos del corpo come scrittura (come indica anche Castiglione nella Nota introduttiva), e alla riflessione metapoetica sulle possibilità della scrittura.
Questo binomio inscindibile, che dà vita agli esperimenti più arditi di “Scribeide” e “Luna Persciente” ma che, tralatiziamente, arriva fino all’ultima raccolta “Le qualità”, propone una forma di leggibilità del mondo che a nostro avviso non risulta come “un indebolimento dell’autenticità dell’esperienza” (v. Hans Blumemberg: “La leggibilità del mondo” – Il Mulino), perché attraverso il corpo (simbolico e autoriale) siamo di fronte a una singolarità e non ad un assoluto apodittico che si sostituisce alla realtà. Anzi, i tentativi agonistici della scrittura di Cepollaro ci paiono arricchire l’ambito della metaforologia, proprio perché vanno di pari passo con l’investigazione semantica del reale e rimangono sempre legati all’etica del perché scrivere.
E’ interessante notare come la prima raccolta “Le parole di Eliodora” e l’ultima “Le qualità” siano intimamente legate, tale che potremmo definire lo sviluppo della scrittura di Cepollaro da corpo a corpo. Nella poesia riportata sopra compaiono già le costanti della poetica dell’autore: le quattro parole-verso, memoria/sono/scrittura/nascita, sono paradigmatiche di quanto accennato: il corpo diventa memoria attraverso l’interpretazione dei segni da parte del poeta che è (sono) sia memoria che scrittura. Questo legame costante tra segno e corpo è confermato e rafforzato dalla pittura segnica di Cepollaro, che testimonia una riflessione ulteriore sulle possibilità della parola (qui divenuta per lo più asemica) di esprimere nuovi ordini di senso. Per quanto riguarda la parola nascita, ci sembra naturale interpretarla come una tensione positiva verso nuove vie di espressione che traducano il reale. (Daniele Poletti)
(da “Le Qualità” – La Camera Verde, 2012)
*
il corpo scrive il suo poema e lo fa a giornate
questa è la sua scansione accordata al pianeta
e alle stelle che gli coprono il sonno
ogni mattina prova a riprendere dove
di sera aveva lasciato talvolta aspetta
che asciughi talvolta mescola e sovrappone
Nota introduttiva
di Davide Castiglione
È la prima volta che mi avvicino alla poesia di Biagio Cepollaro, se si eccettua un’anteprima di Le qualità (la sua più recente raccolta) su Nazione Indiana. Cominciare a entrare nella sua opera per come emerge nell’attenta ed equilibrata selezione di Daniele Poletti è un’esperienza su cui vale la pena di spendere due parole introduttive, prima di ascoltare-auscultare il nuovo macro-testo poetico.
Un’antologia compilata dall’opera omnia – ormai trentennale, onde i festeggiamenti il 24 maggio a Milano – di un autore mette in primo piano, necessariamente e costitutivamente, una dialettica di diacronia e sincronia, di produzione e ricezione del testo. Per motivi sostanzialmente anagrafici, mi trovo cioè ad avere una visione simultanea, sincronica, dei processi compositivi, in continua evoluzione ma stratificati nel tempo, dell’arte poetica di Cepollaro. Questa tensione non è detto che sia un male: anzi, l’accelerazione degli anni e delle forme in quel precipitato che è l’atto di lettura, sembra congeniale a una poesia autenticamente di ricerca – con tutte le cautele che l’uso di questo termine comporta – come quella di Cepollaro. Il metamorfismo e la provocatoria vitalità di questa poesia ne sono così elevati al quadrato.
Quello che colpisce, in questa panoramica, è la percezione di un soggetto testuale sì rifratto o perfino assente – perché consapevole della condizione di liquidità postmoderna in cui si trova ad agire ed essere agito – ma anche di un soggetto creativo, extra-testuale e biografico (Cepollaro stesso) unitario al fondo: se infatti forme e modi cambiano, i nodi tematici (su tutti quello del corpo biologico e della scrittura) rimangono fissi, ossessivamente scandagliati lungo l’arco di una vita.
Non posso che cominciare dunque da qui, dalla scrittura-corpo di Cepollaro: nella prima poesia dell’antologia, tratta da Le parole di Eliodora (1984), questa tematizzazione è esplicita, nelle coppie penna-unghia, scrittura-gambe e pagina-pelle:
la penna affonda come un’unghia
(stringi tra le gambe
scrittura tesa e panico)
bianco il fondo del mio viaggio
(pagina e pelle)
Come le altre poesie di Le parole di Eliodora antologizzate, la forma interna è quella dell’appunto, della bozza quasi, la cui instabilità è segnalata dal contrappunto delle parentesi e dal cambio repentino dei soggetti e dei modi di enunciazione (dall’indicativo all’imperativo). In versi come «(la balbuzie / lo so viene dalle crepe dei muri» (p. 14) c’è già, in nuce, l’idea di una simbiosi continua e necessaria tra scrittura, corpo e ambiente – in questo includendo perfino il cosmo – che culminerà in Le qualità e nei nuovi Inediti:
il corpo scrive il suo poema e lo fa a giornate
questa è la sua scansione accordata al pianeta
e alle stelle che gli coprono il sonno
La dispersione tematizzata da molte scritture di ricerca è in realtà, e salubremente, fermata da una contro-spinta, dall’intuizione che ci sia un tutto con cui interagiamo: una concezione comune nelle scienze naturali – non è da sottovalutare l’importanza della biologia in Le qualità – che rifiutano sia il determinismo sia la casualità, postulando invece l’interazione biunivoca dei sistemi (vd. Popper, Objective Knowledge, 1979) in questo offrendo una valida alternativa al nichilismo del «tutto è mediato, costruito, quindi falso» della vulgata decostruzionista e postmoderna. Se dissoluzione c’è, questa è ricondotta a movimenti sistemici – tra geologia e tardo capitalismo – che sta allo scriba, alter-ego del poeta, identificare:
tranne scriba che intravedendo vede enormi prodigiose
masse d’acqua le dighe le sotterranee esplosioni le sparizioni e la deriva
dei nuovi avvallamenti di sabbia e capitali
Questo passaggio, tratto da Meditaziones n°3, illustra bene il concetto e al tempo stesso la qualità fluviale, in eccedenza, che la scrittura di Cepollaro ha acquisito a quest’altezza (siamo nel 1996) ma anche, e perfino più scopertamente, nel precedente Scribeide, che forse non a caso reca una data (1993) anche simbolica per la storiografia letteraria, con la costituzione del Gruppo ‘93.
L’istanza metapoetica, l’idea del poema e dello scriba sembra mutuato da un celebre luogo sereniano (Un posto di vacanza); tuttavia, assai diverso è lo svolgersi del tema che qui ho crudamente enucleato. Scribeide, lontanissima dal fenomenologismo sereniano, ha una natura inglobante, che non fa distinzione tra soggetto dell’enunciazione ed enunciazione stessa. Ecco allora una peculiare neolingua che intreccia italiano standard, napoletano e latinismi, cadenzata nella monorima di un cantore fittizio:
i’ ca vurria far docia simbianza
e all’affrasar far de miele usanza
mi veco frantumato in una stanza
ca nun succorre né bio né scienza
e all’intorno sulo veco la suffranza
In queste pagine, le procedure linguistiche e compositive delle avanguardie sono più scoperti: neologismi ottenuti da derivazioni grammaticali non-standard (per es. testo-testifica), iterazione ossessiva diluita in un elenco non progressivo, come in Fabrica («all’universale scanno scanno naturale casa per villa accento / per accento scanno contabile fervido e commerciale scanno»), collage con inserzioni e manipolazioni da materiale extra-poetico (come questo, tratto da un manuale di retorica: «Dispositio artificialis. Essa tratta dell’ordine e della disposizione / delle idee, naturalis o artificialis»), e molto altro ancora. Comico, per esempio, sembra l’uso delle personificazioni di Gatto, Bufalo, Apparizione e Cunsulazione, sempre in Scribeide, così come il falsetto imbrobabile del Dolce Stil Novo:
Donna ca m’arivolgo in fellonia
in me puisia s’accende a vita
Altre volte, le allusioni letterarie sono più esplicite e specifiche, per esempio quelle da Leopardi
nel mezzo nel mezzo a rimestar che m’è dolce in queste carte
a rimettere in circolo la poltiglia ad antennar oltre la siepe
delle sigle e dei neon oltre gli input e i cartelli zoppas
oltre il cavalcavia con lingua sensoria agli impasti a far
da sponda ai proiettili a contar dai buchi l’orografia dei luoghi
e da Montale
e il giorno la luce la poca la sola poi meriggia pallido-assorto
meriggia meringa ca son stanco m’addormento nessuno al fianco ma
Nessuna delle due allusioni, mi sembra, ha tuttavia intento d’irriverenza: entrambi sembrano più che altro modi di segnalare la resistenza del poetico benché diluita nel caos postmoderno, secondo un’operazione che – in specie nel primo passaggio – mi fa pensare a Zanzotto, forse anche per l’uso, altrove, dei latinismi, la permanenza dell’interrogazione filosofica e l’invocazione alla luna: «Luna persciente / li umani non supportano troppa realtà».
Da alluso, il dialogo coi poeti viene addirittura tematizzato nel più recente La poesia: Vale (2003). Come mostra la selezione, in questo gruppo di testi Cepollaro sperimenta una forma (almeno per me) inedita, che intreccia procedimenti principe della critica letteraria, la parafrasi e il commento, con un’allocuzione a un destinatario concreto (il “Vale” del titolo, che nelle poesie ha anche una funzione musicale di ritorno ritmico). A monte, mi pare, è la necessità di rimarcare l’importanza vitale (non letteraria, dunque, almeno in prima istanza) della poesia, il suo parlarci da lontano di noi e della nostra storia. Ecco così che i versi di Saba «Parole, / dove il cuore dell’uomo si specchiava / -nudo e sorpreso-alle origini…» sono tradotti (nel senso etimologico di: portati a) alla situazione presente in cui al poeta Cepollaro e al suo interlocutore (e a tutti noi, per estensione) è toccato e tocca stare:
pensa
ai tg e alle campagne stampa pensa,
Vale, a questa lunghissima bugìa
che da allora fin qui copre la storia.
Come illustra questo passaggio, c’è qui un’umiltà quasi disarmante di tono, una cancellazione degli istituti retorici a favore di una comunicazione limpida e diretta. Sperimentare vuol dire anche deviare dal deviante quando questo si istituzionalizza (mi viene in mente, come parallelo a cavallo tra i media d’espressione, The Straight Story di David Lynch, radicalmente tradizionale rispetto alle sequenze oniriche disturbanti dei suoi film più noti), e Cepollaro mostra qui come uno stile piano possa assolvere a una qualità di ascolto che è essenziale per ogni vero poeta. Il naturale punto d’approdo di questo percorso è quindi un nuovo umanesimo biologico, quello di Le qualità e del suo ottimismo per l’essenziale, messo bene in luce dall’appassionata lettura che ne ha fatto Luigi Bosco su In realtà, la poesia.
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L’ebook “Nel corpo della scrittura; poesie 1984-2013” di Biagio Cepollaro, che comprende l’antologia completa delle opere, l’appendice con 8 interviste su “Le qualità” e l’appendice “Biagio Cepollaro, un percorso”, da Il Verri, n. 39, 2009, può essere consultato e scaricato anche in PDF su Biblioteca di f l o e m a o direttamente qui sotto attraverso la piattaforma ISSUU per la lettura di ebooks e documenti:
(da “Scribeide”, Piero Manni, 1993)
pigiati su scale mobili tentennanti sul metrò
fanno ressa a tutte le entrate della città.
non sono sguardi sono lenze aggrovigliate
ai piedi e frecce da sterile veleno.
non c’è morte né vita spariscono i pesci
dal lago senza rumore
Donna ca rètore t’addita
ca ti so madre saporita
madre mai tradita
madre mai saputa
e avvece v’è ramingo
v’è postringo de tote facultà
v’è gisco crudo e strutto
d’ogni degnità do mundo
i conti col tempo sono errati. la macchina
si muove anche senza di noi. anche un black
out non sarebbe un ripensamento. e il buio
può esser seme solo se appartiene alla terra
e la terra lo ha perduto.
(da “Luna Persciente”, Carlo Mancosu editore, 1993)
I
Multitudo
(Dell’ansia e dello Scriba)
ansiatamente viatico verbo strimpello mossa di lingua
morso di dente scolpa accoltella compresso de stomaco
flagello frazionatamente in parti in echi in giochi
spuntellante in due in tre in trentatre fori fossi
in medica in spedale in innocenza di pecora e di capra
in colpetto sulla crapa pat-pat patteggiando col tempo
che manca che allaga che alloga sia pur dicente sono
che mi spinge e spaventa? che mi affanna? che mi perisce
e in quale parte? in quanta? di noi perì soprattutto
per la fretta e per darsi da fare per non supportare
reggere travare per non travalicare stare restare
di noi perì gran mole di cellule di toni di muscoli
ci fu gran male gran sale gran sperdimento in giro
solo franciose e franche pirimpacchi e stacchi e vomiti
o detto altrimenti di noi sentì una piccola parte
una morte piuttosto un dilagante specchio di morte
(da “Fabrica”, Zona Editrice, 2002)
Meditationes n°1
nella terza rivoluzione industriale si fa ciò che non si pensa e anche
si è pensati da ciò che non si è fatto. non l’antico sulfureo inferno né
il fiorito giardino di delizie assoggettando ti fa soggetto ma lo stallo
nel vuoto assoluto d’esperienza. l’evidenza ora si fa sospetta allusione
contronatura
Meditationes n°3
dentro la terza rivoluzione industriale si confondono per la terza
volta le cose e i sottostanti sommovimenti non sembrano più feroci
né tali
ci si mette anche a ragionare
sulle idee. tranne scriba che intravedendo vede enormi prodigiose
masse d’acqua le dighe le sotterranee esplosioni le sparizioni e la deriva
dei nuovi avvallamenti di sabbia e capitali
(da “Versi nuovi”, Oedipus Edizioni , 2004)
emendamento dei guasti
*
quando gli raccontano quel che fanno
a lui
pare di passare
ozioso
il tempo
e non sa che dire
eppure è tutto il giorno preso e deve
perfino scandire bene
le ore.
*
evita di incontrarli. Apparentemente neanche
ci pensa ma poi si scopre che ancora
deve fare molta strada prima
di arrivare a che si dica:
è naturale
che voglia loro
bene.
da “La poesia:Vale”, inedito, già presente su www.cepollaro.it/la_poesiavale_(testo).htm
(…)
‘Ogni giorno della sua inesplicabile esistenza
parole mute in fila.’
Amelia Rosselli
‘Propongo un incontro col teschio’ s’intitolava profetica
questa poesia del settantasei di Amelia Rosselli:
è che lei opponeva alla durezza della vita
lo spostamento continuo della mente e la parola cercava
sviando da sé come da una certezza: era l’incerta
lingua l’amo che gettava nel gran mare del senso
ed era vita muta che lei incalzava torcendola a dire.
(da “Lavoro da fare” – ebook inedito (2002-2005), già presente su www.cepollaro.it/LavFarTe.pdf)
*
dunque era questo
il lavoro da fare: giungere
alla Porta
e anche se presto
gli abiti ci si richiudono
addosso
il grosso del lavoro
è stato fatto
il sospetto della bellezza
dell’essere
oggi non è più sospetto
ma un’esperienza
oggi non vogliamo più
che le porte siano chiuse
abbiamo sbirciato
e nella grande sala
c’era un lago verde-chiaro
e profumo di alghe
e di presto mattino
ci siamo visti al centro del lago
con i piedi sui sassi del fondale
e le mani che toccavano
il cielo
ci siamo anche voltati
da ogni lato
e da ogni lato c’era il verde
del lago
ora siamo sulla Porta
e non sappiamo né ci importa
quali saranno le parole
a venire
noi andiamo oltre i segni
per il tempo che ci resta
noi andiamo a ringraziare
per essere stati invitati
al banchetto
ora siamo sulla Porta
del ritorno e della restituzione
(da “Nel fuoco della scrittura”, La Camera Verde, 2008)
*
ormai non sono le parole ad indicarci
e le parole della storia ad una certa
età suonano come storia di parole
passaggi di convenzioni allucinazioni
condivise in forme di vita
addensate o rare come di nuvole
si dice del clima: una parola
commuoveva mio padre
al pronunciarla: provvidenza
solo il suo suono gli faceva
compagnia: parole-sostegno
che fanno da contesti o farmaci
come sicurezza continuità
ma servono solo a contenere
se c’è una nostra intenzione
una paura un’ossessione
dietro di esse può esserci
di tutto e il suo contrario
come quando si dice
arte e ognuno vi spedisce
dentro la cova di un sogno
di un rimorso di una presunzione:
ogni giorno questa parola
smette il suo vestito
e dopo tanti anni di eleganza
e nudità dopo l’acre
odore dell’insistenza
delle prove smesse
è ancora lì come una semplice
parola che mi chiede la vita
(da “Da strato a strato”, La Camera Verde, 2009)
2.
ma il muro che guardato per più
di un secondo rivela l’opera
non intenzionale degli accidenti
la coincidenza delle forme
e dei colori stinti il favore
delle intemperie e del teppista
che vi traccia il segno: di questa
abbondanza pullula ogni strada
della città mentre la pioggia
in basso defluisce nell’esitazione
dei passi e nell’improvvisa distrazione
oggi mi parlano questi segni
galleggianti sotto la corrente
dei detti: se vuoi ancora
trovare il mondo
evita il suo racconto
(da “Le Qualità” – La Camera Verde, 2012)
Terza sezione
il corpo e il tempo
il corpo nella casa sa di esserci in modo precario che la casa
stessa è provvisoria anche se non sa il quanto di questa
instabilità di fondo. ciò nonostante si muove come se
all’infinito dovesse restare e quindi nulla tralascia e cerca
anche di considerare possessi certi gli alberi che in due
rettangoli dicono che lo sguardo ha raggiunto il parco
e che il silenzio nella stanza è temporaneo o almeno così
spera che inaudite voci si stratifichino come piste di eco
Inediti, Ancora Qualità (work in progress)
*
il corpo sa che il palazzo di fronte non si regge
per la sua grammatica ma per la pietà del sisma
che lo risparmia: è questione di proporzione ed è
meglio abituare lo sguardo al grande per non
credere che il piccolo basti e che sia tutto: la forza
del fragile è stare dentro una certa verità delle cose
*
il corpo scrive il suo poema e lo fa a giornate
questa è la sua scansione accordata al pianeta
e alle stelle che gli coprono il sonno
ogni mattina prova a riprendere dove
di sera aveva lasciato talvolta aspetta
che asciughi talvolta mescola e sovrappone
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Biagio Cepollaro, poeta e artista visivo, è nato a Napoli nel 1959, vive a Milano. È stato co-fondatore della rivista Baldus (1990-1996), promotore del Gruppo 93 e, tra i primi in Italia, a produrre edizioni online di poesia. Il suo percorso è tratteggiato su il Verri, n. 39, 2009;pagg.78-81.
Per maggiori informazioni potete visitare questa pagina: http://www.cepollaro.it/interest.htm
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